Dai due forni alle tre bastonate

di F accio, spacco, rompo e i cocci sono di chi capita, demolisco, buldozerizzo, asfalto. In tutte le analisi del linguaggio di Matteo Renzi, tutte molto educate e molto carine, c'è un elemento che non viene mai messo adeguatamente in risalto: la violenza. Violenza delle parole, ovviamente. Violenza dei concetti, a partire dalla famigerata «rottamazione» di cui tutti quanti abbiamo ignorato l'inquietante effetto empirico. E pratica di una violenza istituzionale che nell'ultimo anno non ha risparmiato nessuno. I patti, i famosi patti: parole al vento e carta straccia. Gli alleati: carne da cannone da sbeffeggiare alla prima occasione, «non ho tempo da perdere con i partitini». E Angelino Alfano si deve ancora riprendere dall' uppercut che Matteo ha assestato al suo quasi-ex movimento. Per essere uno di scuola democristiana, il premier ha ereditato dalle macerie della Prima Repubblica uno stile retorico che avrebbe fatto impallidire il Craxi in orbace di Forattini. Se questa attitudine è stata spesso derubricata a un comportamento da ragazzaccio, da monello con l'accento toscano, è la prassi che sta dietro al linguaggio di Renzi che dovrebbe far riflettere. Prendiamo l'elezione del presidente della Repubblica. Mattarella, in quel grigiore primorepubblicano che passa educatamente sotto il nome di «sobrietà», è stato imposto – dopo che, parola del vicesegretario del Pd Serracchiani, «eleggeremo il presidente anche con i voti di Berlusconi» - senza neppure preoccuparsi del formalismo del prendere o lasciare. Gettato lì, il nome e il suo corredo necessario di voti per eleggerlo senza bisogno del consenso delle opposizioni, come una bomba a mano gettata in mezzo al luogo virtuale del dialogo istituzionale. Renzi ricorda un po' la storiella di quel bullo che ti arriva di fronte, ti sferra un cazzotto a bruciapelo e poi dice: adesso possiamo parlare. La politica dei due forni è diventata la politica delle tre bastonate. La prima bastonata viene riservata una tantum alla minoranza del Pd. Che sotto il bastone finiscano Civati, Fassina, Gotor o Bersani, poco conta, l'importante è l'esempio: colpire qualcuno per educare gli altri. La seconda bastonata è riservata agli alleati, che vengono umiliati con ammirevole puntualità, salvo poi concedergli qualche sporadica carezza quando si ritrovano in un angolo a leccarsi le ferite. Da questo punto di vista, la campagna di annessione dei residuati di Scelta Civica andrebbe inserita nei manuali di cannibalismo parlamentare. La terza bastonata è per le opposizioni, con l'eccezione della Lega che è paradossalmente il migliore alleato nel progetto renziano di durata fino al 2023. Il problema si è sempre chiamato Forza Italia, e il trionfalismo con cui Renzi ha salutato l'ipotetico sbriciolamento dei gruppi parlamentari berlusconiani dovrebbe far riflettere chi si ostina a pensare che il dialogo istituzionale sia l'unica forma di sopravvivenza politica possibile in questa fase. E ritorniamo a quanto si diceva: il decisionismo e la testardaggine del «royal baby» – per citare Giuliano Ferrara che tanto lo adora -, ovvero le qualità che lo hanno fatto apprezzare anche in chi non l'aveva votato, si stanno progressivamente e pericolosamente tramutando nel doppio inquietante di un istinto di onnipotenza che non risparmia nessuno, in primis i famosi equilibri istituzionali. Fregandosene di confronto, dialogo, mediazioni. Il progetto 2023 di Renzi è chiaro, ed è chiaro che il premier si è scelto una figura di presidente della Repubblica scarsamente profilato nell'immagine e altamente burocratico nella retorica, una figura perfettamente congegnale alla sua strategia politica e mediatica di egemonizzazione dello spazio pubblico e dello spazio istituzionale.

Anche le famose riforme «condivise» sono già state sacrificate come legna al camino della personalizzazione assoluta. La stessa legge elettorale, per come è stata congegnata, in questo quadro altro non è che il certificato di sopravvivenza del renzismo al di là di questa legislatura. Passando di asfaltato in asfaltato.

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