Dai vip al re della frittura. Tutti i candidati democrat

Entrano la giornalista Barra e l'avvocato Annibali. Un posto anche per Alfieri: regalò pesce per il Sì

Dai vip al re della frittura. Tutti i candidati democrat

Il volto «nuovo» del Pd. Calza bene sul fedelissimo del governatore campano De Luca, Franco Alfieri, ex sindaco di Agropoli, ma soprattutto organizzatore di strepitose fritture di pesce a scopo referendario. Forse, ancora meglio, calza su quello di Roberto Giachetti, candidato «eroe» per 24 ore, avendo sbandierato la sua rinuncia al paracadute per «correre rischiando» nel collegio uninominale di casa sua, Roma Monteverde. Non è finita bene, come gongola sarcastico l'ex compagno di partito Gotor, ora Leu: «Giachetti ha ottenuto la deroga e si è fatto blindare nel collegio di Sesto Fiorentino... Che dire? Faccia da... Giachetti». Il neo-blindato tenta di giustificarsi: «In nottata mi hanno proposto un collegio più sicuro» perché il suo «era entrato nell'accordo con i Radicali, e io mi sento ancora radicale. Mi hanno chiesto insistentemente di rivedere la scelta...». Una figuraccia.

Superfluo dire che per ogni faccia «nuova» entrata c'è una «vecchia» (o presunta tale) in uscita. Beffato Dario Ginefra che, mentre era in clinica per la nascita della figlia, è stato piazzato nel listino ma in posizione da quasi sicura esclusione. Clamorosa la rinuncia di Cuperlo, così come l'esclusione dell'ex governatore siciliano Crocetta, cui Renzi personalmente aveva promesso un seggio, pur di avere l'appoggio nelle sfigatissime Regionali. «Mortificante un partito che non rispetta gli impegni», insorge il Pd siciliano, mentre a Crocetta arriva la solidarietà di Sgarbi. Anche un altro pilastro del Pd isolano, Beppe Lumia, è stato fatto fuori, e accusa lapidario: «Minoranza pugnalata alle spalle, ma colpo mortale al partito». Così che Piero Grasso, capo di Leu, può finalmente dire che «ora è spiegabile la frattura: il partito dall'interno non è contendibile, la parte di sinistra è stata tagliata fuori e quindi hanno fatto bene quelli che si sono dimessi tempestivamente».

Poco male, perciò: Renzi si sta ritagliando il partito su misura, ben gli sta a chi gli ha dato retta. Tipo il ministro Andrea Orlando, che ieri si stracciava le vesti paragonando i nomi «da noi proposti, giovani di valore», con quelli che sono riusciti a passare indenni sotto la mannaia renziana. Ma la vera chiave di lettura è addirittura più palese: in previsione di una legislatura agitata, presumibilmente tesa a una grosse koalition, il segretario s'è creato una squadra di pretoriani, nati con Lui e pronti a morire per Lui. Per esempio Filippo Sensi, l'ultra-quarantenne ex enfant prodige ora portavoce del premier Gentiloni come, prima, di Renzi a Palazzo Chigi. Volpe dell'autonarrazione renziana, epopea referendaria compresa, è stato l'autore delle più efficaci performance del Matteo-Fonzie, così come un imbarazzante Starace nei mille giorni del potere assoluto. Indimenticabili le sue veline via sms ai cronisti. Sensi è blindato nel listino toscano. Ad Arezzo invece Renzi schiera il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri: «Un magistrato, una garanzia», assicura.

La Toscana è a tutti gli effetti il bunker del Capo e dei suoi gerarchi. Come l'ex assessore di Palazzo Vecchio, Giuliano da Empoli, il tesoriere Francesco Bonifazi, l'inseparabile Luca Lotti, le ministre Valeria Fedeli e Beatrice Lorenzin (con la sua Lista Civica popolare). Il dolce stil novo, oltre a catapultare la sottosegretaria Mariaele Boschi a Bolzano, insedia Daniela Cardinale, figlia dell'ex ministro Salvatore, nel collegio di Caltanissetta (salta così per «sdegno» quella del vicedirettore dello Svimez, Peppe Provenzano). Quindi, per la categoria «società civile», Renzi affibbia il peso di «candidato simbolo» sulle spalle di Paolo Siani, fratello di Giancarlo, ucciso dalla camorra nell'85.

Ancor più della nota avvocatessa Lucia Annibali, paladina della lotta alla violenza sulle donne (collegio a Parma), nonché la chiacchieratissima giornalista dei talk show tv Francesca Barra (vittima di hater per i suoi atteggiamenti spesso disinibiti). Tra i giornalisti entra nel mucchio anche il condirettore di Repubblica, Tommaso Cerno, nonostante una ventina d'anni fa si fosse candidato per An in Friuli.

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