Davanti al ministro dell'Interno Matteo Piantedosi l'antimafia con la a minuscola profana anche la liturgia più sacra. Mentre il capo dello Stato ricorda che «la mafia è un cancro per nulla invincibile, privo di onore e dignità» i familiari delle vittime si lanciano veleni su presunti impresentabili e antimafia da passerella. E i boss se la ridono. È la mortificante sintesi del 31mo anniversario della strage di Capaci, nella quale morirono il giudice Giovanni Falcone, la sua compagna Francesca Morvillo e i tre agenti di scorsa Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. L'appello di Sergio Mattarella si scioglie davanti allo striscione non siete Stato voi, ma siete stati voi agitato dal controcorteo di partigiani, studenti e Cgil davanti alle forze dell'ordine schierate a protezione del corteo ufficiale in via Notarbartolo, sotto l'albero di Falcone. «Un momento di una tristezza micidiale», dice la dem Valentina Chinnici, in testa ai contestatori.
L'antipasto l'aveva servito in edicola su Repubblica Palermo Alfredo Morvillo, fratello della compagna di Falcone, indignato dalla presenza alle celebrazioni del sindaco del capoluogo siciliano Roberto Lagalla. Una stilettata a cui aveva risposto Maria Falcone: «Basta con l'acida propensione alla presunzione di colpevolezza e all'antimafia usata per fare carriera o passerella».
«Sono fiera di una nazione che negli ultimi sette mesi, grazie soprattutto al preziosissimo lavoro delle nostre forze di polizia, ha arrestato pericolosi superlatitanti», scrive il premier Giorgia Meloni, consapevole che persino l'arresto di Matteo Messina Denaro è diventato terreno di infami allusioni. Per questo la ricostruzione della cattura offerta sul palco dal vicecomandante del Ros dei carabinieri Gianluca Valerio (uno dei registi occulti della cattura) prova a restituire all'Arma l'intuizione di aver «capitalizzato un momento di vulnerabilità del boss» che ha gestito la sua latitanza «con grande potere di denaro», spiega Valerio. E come è cambiata la mafia, decapitata da allora? «È tornata su droga e appalti», dice il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia, convinto che bisogna ancora indagare per trovare «le intelligenze che nel tempo hanno svolto un ruolo di consulenza per Cosa nostra». Già, anche la strage di Capaci è rimasta con qualche domanda di troppo, «troppe zone d'ombra continuano a gravare su quella stagione», dice il procuratore. Difficile dare risposte ai morti se si dà la caccia ai fantasmi. Le polemiche sulla commissione Antimafia affidata a Chiara Colosimo non sono poi così lontane. In serata è il senatore del M5S, Roberto Scarpinato, ad avvelenare il dibattito ipotizzando contiguità tra la mafia e «menti che avevano dimestichezza con le dinamiche del terrorismo e con i meccanismi della comunicazione di massa», minacciando poi in aula di querela Maurizio Gasparri, reo di aver evocato il dossier mafia-appalti su cui indagava Borsellino, frettolosamente accantonato: «Non siamo in Procura, la libertà d'espressione va garantita», è la replica del senatore azzurro.
«Non si può riproporre il fasullo teorema della trattativa Stato-mafia, smontato dalla Cassazione e su cui Scarpinato ha costruito tutta la sua notorietà, con toni inquietanti e facendo riferimento a figure istituzionali di cui si è guardato bene dal fare nomi e cognomi», sottolinea Raffaella Paita del Terzo Polo. Così una lotta politica imbarbarita ricaccia Falcone dentro le lamiere della Thema Quarto Savona 15 accartocciata. Trasformando il sacrificio di un eroe in un simulacro divisivo.
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