«Nella diversità, per il bene comune». Il Meeting di Rimini da sempre rappresenta il momento della ripartenza della stagione politica alla fine della pausa estiva. Quest'anno, però, nel furore dell'anomala campagna elettorale agostana, la kermesse riminese riesce laddove altri hanno tentato senza successo: mettere in piedi un confronto allargato tra i leader davanti alla grande platea dei ragazzi di Comunione e Liberazione. Una tribuna di prim'ordine, in collaborazione con l'Intergruppo per la Sussidiarietà creato da Maurizio Lupi, che chiama a dialogare sullo stesso palco Giorgia Meloni, Enrico Letta. Matteo Salvini, Antonio Tajani, Luigi Di Majo, Ettore Rosato e lo stesso Lupi. In sostanza il primo grande dibattito trasversale della campagna elettorale, con la sola assenza di Giuseppe Conte, a suo dire non invitato in quanto «scomodo per un certo sistema».
È Luciano Fontana a orchestrare e a fornire lo spartito. Il direttore del Corriere della sera cerca di limitare la scorribande elettorali e tenere i leader sul binario dei grandi temi programmatici. La temperatura si alza soprattutto sulle riforme costituzionali e sulle sanzioni alla Russia. È Enrico Letta a promettere battaglia contro il presidenzialismo. «La Costituzione ci ha dato il parlamentarismo e noi nella prossima legislatura cercheremo di applicare ancora di più la Costituzione. Ma se non vincessimo, faremo di tutto perché il nostro Paese non scada nel presidenzialismo che finirebbe per cambiare profondamente la Costituzione. Sarà un impegno fortissimo». La replica di Meloni è puntuale: «Non sono d'accordo su quanto si è detto sul presidenzialismo. Perché i cittadini vanno rimessi al centro della scelte. A questa Nazione serve un legame diretto tra voto e governo. E serve stabilità. Una riforma in senso presidenzialista sarebbe utile e non mi pare così impresentabile. Penso alla Francia e lo dico a Letta che è così amico dei francesi...».
L'altro fronte caldo è quello delle sanzioni a Mosca, una misura sulla cui utilità Matteo Salvini semina dubbi. «Occorre guardare i numeri: per la prima volta nella storia il sanzionato ci guadagna. Chiedo di valutare l'utilità dello strumento: se funziona andiamo avanti ma se funziona al contrario rischiamo di andare avanti dieci anni». Su posizioni diametralmente opposte si posiziona il segretario dem (che si prende qualche fischio proponendo l'obbligo per la scuola dell'infanzia): «Le sanzioni sono una scelta europea, vanno prese insieme ai nostri alleati europei. Credo che la cosa peggiore che si possa fare in questo momento è dare segnali di cedimento a Putin». Tajani invece ritiene che «le sanzioni non devono essere eterne, ma per il momento vanno tenute. Ci auguriamo che il Padre Eterno ispiri le parti in causa. Non c'è pace però senza giustizia e la giustizia è stata profanata con l'invasione dell'Ucraina».
Sulla questione ucraina interviene anche Mario Draghi, intervenendo in collegamento video al Summit internazionale «Crimea Platform», al quale prendono parte molti leader occidentali e il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.
Draghi spazza via ogni dubbio: «La Russia deve porre fine ai suoi attacchi brutali contro i civili disarmati. L'Italia continuerà a sostenere l'Ucraina. Siamo con voi nella vostra lotta per proteggere la vostra democrazia e la vostra indipendenza».
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