Ultime ore, ultimi assalti alla tregua. La vigilia del cessate il fuoco che dopo 15 mesi di guerra torna a far sperare il mondo non regala tranquillità e serenità a Israele e ai territori palestinesi. Anzi le ultime 24 ore di guerra sono state usate dai nemici della pace per lanciare l'offensiva finale. Su quel fronte si sono mossi attentatori, alleati dell'Iran e anche quell'ultra destra israeliana che ha tentato fino all'ultimo di convincere Benjamin Netanyahu a continuare le operazioni militari.
Certo le provocazioni più evidenti sono arrivate dai militanti vicini ad Hamas e dai loro alleati houthi. L'accoltellamento nel centro di Tel Avv di un 28enne israeliano rimasto gravemente ferito per mano di un terrorista arrivato dalla città palestinese di Tulkarem è sicuramente l'atto che più ha indignato Israele. Anche se l'attentatore è stato subito fermato e ucciso da un passante armato di pistola l'accoltellamento ha ricordato agli israeliani quanto il pericolo sia vicino e insondabile. Dal cielo sono piovuti, ancora una volta, i missili utilizzati dai militanti yemeniti, ma chiaramente sponsorizzati dalla Repubblica Islamica. Il primo, lanciato in mattinata, è stato colpito e abbattuto dalla contraerea israeliana molto prima che arrivasse su Tel Aviv, obiettivo designato del lancio. Un secondo missile è stato abbattuto nel primo pomeriggio mentre si dirigeva verso la zona di Eliat nell'estremo Sud d'Israele. Il doppio lancio è chiaramente un segnale di quanto l'Iran consideri contrario ai propri interessi il cessate il fuoco. La tregua minaccia, infatti, di rilanciare gli accordi di Abramo e la normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele, i due grandi nemici della potenza sciita su cui Donald Trump ha scommesso, fin dal primo mandato, per raggiungere un accordo di pace in Medioriente.
Sullo scenario politico israeliano il fronte dei contrari alla tregua si è ulteriormente allargato. Venerdì notte al termine di una riunione di governo durata sette ore 8 ministri su 24 hanno votato contro l'accordo. E ieri il partito Otzma Yehudit ha annunciato le dimissioni di tutti i suoi esponenti. Di conseguenza, il ministro della Sicurezza Itamar Ben-Gvir, il ministro per il Negev e la Galilea Yitzhak Wasserlauf, il ministro per il Patrimonio Amihai Eliyahu, nonché i presidenti delle commissioni Limor Son Har-Melech e Tzvika Fogel lasceranno gli incarichi.
In tutto questo Hamas usa la tregua, e soprattutto lo scambio di 33 ostaggi con un migliaio di prigionieri palestinesi, come spunto propagandistico per rivendicare la vittoria e far dimenticare la distruzione di Gaza e il tremendo tributo di sangue pagato dalla sua popolazione. «L'occupazione non è riuscita a raggiungere i suoi obiettivi aggressivi, è riuscita solo a commettere crimini di guerra che mettono in imbarazzo l'intera umanità» afferma un comunicato di Hamas in cui si spiega che i palestinesi sono ora «più vicini alla fine dell'occupazione, alla liberazione e al ritorno». Toni ripresi anche dal leader di Hezbollah Naem Qassem pronto a rivendicare una vittoria comune.
«Questo accordo - ha detto ieri Qassem - rimasto invariato rispetto a quanto proposto nel maggio 2024, dimostra la tenacia dei gruppi di resistenza, che hanno ottenuto quanto volevano mentre Israele non è stato in grado di raggiungere quanto cercava».
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