La Emanuel African Methodist Episcopal Church è chiamata affettuosamente dagli abitanti di Charleston, per la sua antichità, «Madre Emanuel». È stata fondata proprio per sfuggire dall'odio razziale che oggi sembra all'origine della sparatoria costata la vita a nove persone in preghiera tra i suoi banchi. Era il 1816 quando Morris Brown, un calzolaio di colore, non uno schiavo, decise di creare uno spazio soltanto nero, nel cuore di uno Stato del Sud dove la schiavitù era viva e dove da lì a poco sarebbe scattata la scintilla della Guerra civile americana. Fin dalla sua nascita, «Madre Emanuel» ha vissuto al centro prima della lotta contro la schiavitù, poi di quel movimento per i diritti civili che ha portato negli anni Sessanta all'equiparazione dei diritti tra comunità bianca e nera negli Stati Uniti d'America.
Sorta nel centro della città di Charleston, la chiesa fu subito luogo di dibattito, confronto, protesta e anche vera e propria rivoluzione. Fu un suo membro, Denmark Vesey, a organizzare nel giugno 1822 - l'anniversario ricorre proprio in questi giorni - una tentata e fallita rivolta di schiavi neri. Un suo compagno lo tradì raccontando i piani ai propri padroni, e Vesey e decine di altre persone furono processate e giustiziate, altri furono banditi dalla città.
«Madre Emanuel» e altri luoghi di culto esclusivamente «neri» furono chiusi, giudicati focolai di fomentazione contro i padroni. Così, fu soltanto dopo la fine della Guerra civile, nel 1865, che la chiesa riaprì per tornare al centro della protesta negli anni dell'espandersi del movimento dei diritti civili, per diventare un simbolo di quella lotta contro la discriminazione razziale.
Se di crimine d'odio di tratta, come ha spiegato ieri il capo della polizia di Charleston Greg Mullen, l'attentatore non ha scelto dunque un luogo a caso. Dal pulpito di quella chiesa ha infatti parlato anche il reverendo Martin Luther King e un anno dopo la sua tragica uccisione avvenuta nel 1968, sua moglie, Coretta Scott King guidò una marcia partita proprio dal sagrato della «Madre Emanuel» in sostegno dei diritti sindacali dei lavoratori di colore negli ospedali.
Da quella strada nel centro di Charleston, in uno degli Stati dove schiavitù e segregazione sono state più radicate e robuste, si è dunque rafforzata nei secoli la battaglia della comunità afro-americana. Quello che è accaduto mercoledì notte, però, racconta come la presenza di odi razziali in America sia ancora viva.
Soprattutto in alcune zone dell'Unione: secondo il Southern Poverty Law Center, citato ieri dall'emittente Msnbc, in Carolina del Sud sarebbero 19 i «gruppi d'odio» presenti sul territorio, tra cui due fazioni del Ku Klux Klan e quattro movimenti di suprematisti bianchi. A giugno 2014, nella città di Seneca, residenti di un quartiere hanno trovato sacchi contenenti volantini con la scritta: «Salvate la nostra terra, unitevi al Klan», e un numero di telefono che connetteva a una segreteria telefonica con un messaggio firmato Kkk sulla lotta all'immigrazione.
I fatti di Charleston, però, hanno fatto riemergere anche le immagini di quel poliziotto bianco che, a pochi chilometri da quella chiesa, spara alle spalle di un ragazzo nero disarmato. La scena è stata ripresa da un telefonino e l'agente è stato accusato di omicidio volontario.
Negli ultimi mesi quello non è stato l'unico episodio di abuso da parte di uomini in divisa bianchi contro cittadini afro-americani: è accaduto a Staten Island, a Ferguson, a Baltimora e le violenze contro giovani neri hanno portato a manifestazioni e in alcuni casi a vere proprie rivolte di strada che hanno scioccato gli Stati Uniti e sollevato nuove questioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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