«Sono finalmente libero». Sono state queste le prime parole di Denis Cavatassi, l'italiano detenuto nelle prigioni thailandesi dal marzo 2011 con varie uscite su cauzione negli anni e condannato alla pena di morte nel 2016. Di Tortoreto, in provincia di Teramo, il cinquantenne abruzzese è arrivato in Thailandia nel 2009 ed è stato condannato nei primi gradi di giudizio con l'accusa di essere stato il mandante dell'omicidio di Luciano Butti, amico e socio d'affari nel campo della ristorazione, brutalmente assassinato a colpi di pistola sette anni fa a Phuket, in quello che sin da subito è apparso agli inquirenti come una vera e propria esecuzione. Le indagini avevano disegnato un feroce delitto, premeditato. Alla base del movente, sempre secondo le autorità, ci sarebbe stato un debito da otto milioni di baht (equivalente a circa 250mila euro) che Butti non avrebbe pagato al suo socio. Così Cavatassi, per il tramite di un manager alberghiero, avrebbe ingaggiato i killer, pagandoli una cifra di poche migliaia di euro.
L'abruzzese, che si è sempre dichiarato innocente anche durante un incontro che ho avuto con lui nel 2015 qui in Thailandia è stato arrestato subito dopo l'omicidio e poi rilasciato su cauzione. Sarebbe potuto scappare, lasciandosi alle spalle questa storia. Ma non lo ha fatto. Ha aspettato il processo, convinto di un'assoluzione che è arrivata solo nelle ultime ore, dopo l'incubo delle fredde galere thailandesi e dopo il terrore della condanna a morte.
Ora può respirare la tanto agognata libertà. Per lui ieri, infatti, è arrivata l'assoluzione completa da parte della corte Suprema thailandese. A dare la notizia è stata la sorella Romina, raggiunta telefonicamente dall'Ansa, ha riferito di aver ricevuto un vocale Whatsapp dal fratello alle 5.30 di mattina, ora italiana. «Non riesco ancora a crederci. Stiamo aspettando di sentirlo, ormai è questione di poco tempo. Spero rientri prima di Natale», ha poi aggiunto.
Più tardi, a confermare la liberazione del nostro connazionale, attraverso una nota della Farnesina, è stato Enzo Moavero Milanesi, il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale. «La buona notizia dell'importante sentenza consentirà a Denis Cavatassi di rientrare presto a casa in Italia e riabbracciare i suoi familiari». La Farnesina ha poi ricordato che la complessa vicenda dell'italiano detenuto in Thailandia è stata seguita sin dal primo momento e costantemente dall'ambasciata d'Italia a Bangkok che, in stretto contatto con il ministero, ha assicurato l'assistenza al connazionale e l'interlocuzione con le autorità thailandesi. «Gli italiani in difficoltà all'estero prosegue la nota devono sapere che possono sempre contare sull'assistenza e l'aiuto efficace della Farnesina. Nessuno viene lasciato solo, pur nell'inevitabile riserbo che la delicatezza di tante situazioni impone».
Ma la storia di Cavatassi non è certo l'unica in quello che viene chiamato, ironia della sorte, «Il Paese dei sorrisi». Anche l'italiano Fernando Nardini ha vissuto un tormento durato due anni e quattro mesi nelle prigioni thailandesi. Arrestato con l'accusa di essere il complice per l'omicidio di un cittadino tedesco, è stato successivamente assolto in appello nel febbraio del 2011 e poi definitivamente nel 2014.
Attualmente più di tremila nostri connazionali sono detenuti all'estero.
Lontani da casa e dai propri affetti, non sempre si hanno informazioni sul trattamento che ricevono in carcere e i familiari denunciano spesso che vengono privati di un equo processo. Uno su cinque ha riportato una condanna, tre su quattro, invece, sono ancora in attesa di giudizio. L'80 per cento si trova nelle carceri europee, il 14 per cento nelle Americhe e il resto negli altri continenti.
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