Denuncia in ritardo, stupratore libero

La donna, un medico, aveva taciuto per paura. L'uomo non sarà nemmeno processato

Denuncia in ritardo, stupratore libero

Bari - Sarebbe stata violentata in ambulatorio da un suo paziente, ma ha presentato denuncia 9 mesi dopo. Risultato: il presunto aggressore è stato scarcerato. E non potrà nemmeno essere processato per quel reato. Il tutto nel nome della legge, che fissa i termini per procedere in sei mesi.

Accade a Bari, dove un uomo di 51 anni, Maurizio Zecca, arrestato il 13 novembre scorso per violenza sessuale e stalking nei confronti di una dottoressa di 47 anni, ha ottenuto il beneficio dei domiciliari con il braccialetto elettronico su disposizione del tribunale del Riesame. Il 51enne era finito in cella al termine delle indagini dei carabinieri, che hanno fatto luce su una storia drammatica andata avanti per oltre un anno. La svolta c'è stata quando la donna, dopo mesi scanditi da pesanti minacce e dopo aver cambiato inutilmente tre sedi di lavoro nel tentativo di sfuggire al terrore, è riuscita a trovare la forza di parlare. Ma l'impianto accusatorio non ha retto alla prova del Riesame per una questione procedurale. I giudici hanno quindi deciso di applicare la misura cautelare per il solo reato di stalking, considerando però eccessivo il carcere e disponendo i domiciliari.

La violenza sarebbe stata compiuta nel dicembre del 2016 ad Acquaviva delle Fonti, poco più di ventimila abitanti, una trentina di chilometri da Bari, dove la dottoressa si era fatta trasferire nella speranza di sfuggire al 51enne. Perché già a partire da due mesi prima l'uomo avrebbe messo in atto «un'opera di lenta e crescente persecuzione», come si legge nel capo di imputazione in cui si precisa tra l'altro che era arrivato «a maturare una vera e propria ossessione» nei confronti del medico. Lei subito dopo la violenza non ha parlato, forse per paura e per vergogna. E l'incubo è proseguito: il presunto aggressore avrebbe minacciato anche suo marito e le avrebbe telefonato facendole ascoltare un suono simile al grilletto di una pistola. La donna ha presentato denuncia nove mesi più tardi, nel settembre del 2017. Ma le intimidazioni sono andate avanti. «Se non mi ascolti faccio saltare il palazzo, faccio scoppiare la bombola del gas», le avrebbe detto il 5 novembre. Il tribunale del Riesame ha esaminato le date. E i giudici hanno concluso che mentre è possibile procedere per stalking in quanto gli atti persecutori sono proseguiti, non si può imbastire un processo per violenza sessuale perché sono trascorsi i sei mesi di tempo previsti dalla legge.

Sul caso interviene Serafina Strano, la dottoressa della guardia medica violentata in provincia di Catania il 19 settembre. «È una vergogna, è evidente che nella legislazione c'è un buco», dichiara. Un tema riproposto anche dall'avvocato Giulia Bongiorno. «È l'ennesima dimostrazione afferma - che proprio nella legge c'è un gravissimo ostacolo alla possibilità di presentare denuncia da parte delle donne che hanno subito violenza sessuale.

Sei mesi aggiunge sono un termine troppo breve e spesso questo periodo di tempo è a malapena sufficiente perché una donna inizi anche solo a maturare la decisione di parlare con qualcuno di quello che è le è successo: i termini conclude - vanno almeno raddoppiati»

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