Dieci anni per la crescita e infrastrutture "certe". La regia affidata a Franco

Il Recovery fund di Mario Draghi sarà più green di quello del Conte II. Individuerà obiettivi di lungo termine, come chiede l'Europa

Dieci anni per la crescita e infrastrutture "certe". La regia affidata a Franco

Il Recovery fund di Mario Draghi sarà più green di quello del Conte II. Individuerà obiettivi di lungo termine, come chiede l'Europa. E sarà compatibile con le esigenze delle finanze pubbliche. In altre parole, i prestiti non saranno utilizzati in toto. O comunque, andranno a sostituire debito già esistente.

Il capitolo più complesso del discorso di Mario Draghi è sicuramente quello dedicato al Programma nazionale di ripresa e resilienza, cioè il Recovery italiano. C'è poco tempo per compilare la versione definitiva.

«Il precedente Governo - è la premessa - ha già svolto una grande mole di lavoro. Dobbiamo approfondire e completare quel lavoro che, includendo le necessarie interlocuzioni con la Commissione Europea, avrebbe una scadenza molto ravvicinata, la fine di aprile».

Ci saranno «obiettivi per il prossimo decennio e più a lungo termine, con una tappa intermedia per l'anno finale del Next Generation Eu, il 2026. Non basterà elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni. Dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050, anno in cui l Unione europea intende arrivare a zero emissioni nette di Co2 e gas clima-alteranti». Investimenti mirati e a lungo termine, quindi.

La discontinuità con il precedente esecutivo è in un maggior raccordo con Bruxelles, ma anche sulla gestione dei fondi. Niente cabine di regia, né accentramento a Palazzo Chigi. «La governance del Programma di ripresa e resilienza è incardinata nel ministero dell'Economia e Finanza con la strettissima collaborazione dei Ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore. Il Parlamento verrà costantemente informato sia sull'impianto complessivo, sia sulle politiche di settore».

Le grandi missioni del piano sono confermate. Quindi: «L'innovazione, la digitalizzazione, la competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per la mobilità sostenibile; la formazione e la ricerca; l'equità sociale, di genere, generazionale e territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva». Ma alcune andranno «rimodulate e riaccorpate».

Il riferimento all'ambiente e alla tecnologia non è casuale. Il fulcro degli investimenti del Recovery plan firmato da Draghi è quello. La differenza si vedrà già dalle prossime settimane quando «rafforzeremo la dimensione strategica del Programma, in particolare con riguardo agli obiettivi riguardanti la produzione di energia da fonti rinnovabili, l'inquinamento dell'aria e delle acque, la rete ferroviaria veloce, le reti di distribuzione dell'energia per i veicoli a propulsione elettrica, la produzione e distribuzione di idrogeno, la digitalizzazione, la banda larga e le reti di comunicazione 5G». Sono i compiti assegnati al nuovo dicastero della transizione ecologica guidato da Roberto Cingolani.

Draghi ammicca all'Europa quando assicura che «selezioneremo progetti e iniziative coerenti con gli obiettivi strategici del Programma, prestando grande attenzione alla loro fattibilità». Bruxelles era preoccupata per la fattibilità del piano di Conte.

L'altra preoccupazione dell'Ue è che il debito italiano non aumenti troppo. Su questo Draghi conferma la decisione dell'ex ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, di destinare parte dei prestiti del Recovery (127 miliardi sui 210 totali) a finanziare misure già in vigore.

Draghi non lo dice chiaramente, ma emerge quando spiega che «la quota di prestiti aggiuntivi che richiederemo tramite la principale componente del programma, lo Strumento per la ripresa e resilienza, dovrà essere modulata in base agli obiettivi di finanza pubblica».

Dalle premesse, il Recovery che il governo dovrà consegnare a Bruxelles, sarà in gran parte composto da investimenti duraturi.

Depurato dalle tentazioni di inserire spesa corrente (altro timore europeo) o investimenti a breve termine. Spesa utile a creare consenso, ma non a creare sviluppo. Su questo la distanza rispetto al precedente governo è sicuramente maggiore rispetto a quanto lo stesso Draghi lasci ad intendere.

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