
Ordini, disobbedienza e punizioni. La dinamica si ripete. Donald Trump chiede o impone e se le istituzioni a cui si rivolge si ribellano, scatta la vendetta. L'ultimo episodio riguarda il tempio dell'accademia mondiale, Harvard, la più antica università degli Stati Uniti, che ha sfornato 8 presidenti e oltre 160 premi Nobel. L'amministrazione Trump ha minacciato di revocare le esenzioni fiscali, ha congelato 2,2 miliardi di dollari di fondi federali e 60 milioni in contratti pluriennali dopo che l'ateneo (privato) ha respinto una serie di richieste, avanzate dalla Casa Bianca con una lettera al board. Venerdì era arrivata la lista, che includeva i seguenti inviti: ridurre il potere di studenti e docenti; chiudere immediatamente i programmi di diversità, equità e inclusione; trasferire i dati degli ammessi e non ammessi (divisi per razza, origine nazionale e risultati dei test); segnalare alle autorità federali gli studenti stranieri che commettono violazioni della condotta; garantire che in ogni dipartimento ci sia «diversificazione di opinioni», intendendo l'inclusione di prospettive conservatrici. Una forma di controllo che i vertici dell'ateneo hanno rigettato. Eppure, subito dopo l'annuncio della battaglia legale, è anche arrivato per Sarah Fortune, scienziata che ha passato anni a studiare la tubercolosi, l'ordine del governo federale di interrompere. E infine la richiesta ad Harvard dello stesso Trumo, tramite la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, di scusarsi per «l'antisemitismo» e gli «atti di bullismo contro studenti ebrei».
«Nessun governo, indipendentemente dal partito al potere, dovrebbe dettare cosa possono insegnare le università private, chi possono ammettere e assumere e quali aree di studio e ricerca possono perseguire», ha spiegato lunedì Alan Garber, presidente di Harvard. Ironia della sorte, a guidare la battaglia dell'università, che ha definito «illegali» le richieste della Casa Bianca, sono due avvocati molto vicini a Trump. Il primo è Robert Hur, nominato da Donald procuratore speciale e che, indagando sui documenti classificati non riconsegnati agli Archivi nazionali, scrisse che l'allora vicepresidente Biden era «un anziano con scarsa memoria», tanto da non ricordare quando fosse morto suo figlio Beau. Il secondo legale per Harvard è Burck, repubblicano, che ha lavorato per la Trump Organization e difeso l'ex stratega di Trump, Steve Bannon, quando venne arrestato per frode.
Per tutta risposta, nelle scorse ore, è arrivata la punizione ad Harvard. Era toccato a marzo alla Columbia di New York, che aveva perso 400 milioni di dollari tra sovvenzioni e contratti (finanziamenti mai ripristinati nonostante l'ateneo abbia poi accettato le richieste di Trump), e tagli anche alla Johns Hopkins University (Maryland), costretta al licenziamento di 2mila persone. Poi è stata la volta della Pennsylvania, che ha visto sospesi fondi per 175 milioni.
Ma a difesa di Harvard è sceso in campo l'ex studente ed ex presidente Barack Obama, che già nei giorni scorsi aveva invitato a ribellarsi alle nuove minacce alla democrazia americana.
Su X, Obama ha spiegato che l'università «ha dato l'esempio, respingendo un tentativo illegale e maldestro di soffocare la libertà accademica, adottando misure concrete per garantire che tutti gli studenti di Harvard possano beneficiare di un ambiente di ricerca intellettuale, dibattito rigoroso e rispetto reciproco». Obama si è anche augurato «che altre istituzioni seguano l'esempio».
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