Un discorso per smentirsi: Gigino rinnega il suo credo

Tuonava contro i voltagabbana, voleva uscire dall'euro e "superare" la Nato. Aveva scherzato

Un discorso per smentirsi: Gigino rinnega il suo credo

C'era un tempo in cui Luigi Di Maio seguiva pedissequamente la linea barricadera dei 5 Stelle. Mai un pasdaran alla Di Battista, ma sicuramente un duro e puro dei totem grillini. Era uno di quelli, per intenderci, che «entriamo in Parlamento e lo apriamo come una scatoletta di tonno». Poi, però, è arrivato al governo. Una carica via l'altra. Cambiavano alleanze e premier, lui restava sempre in sella. Inossidabile. Una carriera formidabile, invidiatissima dai suoi. Non manca chi gli ricorda ancora lo stadio San Paolo. Ma il passato è passato. Come sono passati tutti i totem in cui credeva quando ha aderito al M5s e che martedì sera in un discorso di pochi minuti per dare l'addio al Movimento ha rinnegato.

VINCOLO DI MANDATO, UN'UTOPIA

Il web non dimentica. Basta spulciare un po' e subito viene a galla tutto. I voltagabbana, per esempio. Di Maio non li poteva proprio sopportare. Nel 2017 su Facebook scriveva: «Se vieni eletto con il Movimento 5 Stelle e scopri di non essere più d'accordo con la sua linea, hai tutto il diritto di cambiare forza politica. Ma ti dimetti, torni a casa e ti fa rieleggere, combattendo le tue battaglie. Chi cambia casacca, tenendosi la poltrona, dimostra di tenere a cuore solo il proprio status, il proprio stipendio e la propria carica». Già. Rileggerlo oggi, a fronte di quanto fatto nelle ultime ore, fa sorridere. E dire che, durante la scorsa legislatura, inveiva contro la creazione di nuovi gruppi parlamentari? «Molti di questi non erano neanche sulla scheda elettorale». E tuonava: «Un vero e proprio mercato delle vacche che va fermato». Voleva addirittura multare chi lo faceva: 100mila euro di ammenda da pagare sull'unghia. Non è andata così.

UNO NON VALE PIÙ UNO

Per anni i 5 Stelle sono stati in piedi su uno degli assunti più qualunquisti della storia della politica: «uno vale uno», i politici sono tutti intercambiabili e il politico di professione (ecco un altro totem scardinato) è un mostro da abbattere. Da qui, altra pietra miliare del grillismo della prima ora, il vincolo del doppio mandato: finito il secondo giro, si va a casa. E, guarda un po', Di Maio è ormai al giro di boa. Da tempo si vociferava che non avrebbe ottenuto la deroga sperata. Col nuovo partito non avrà di questi problemi. Anche perché ha messo in chiaro di non crederci più all'uno vale uno. «Uno - ha detto - non vale l'altro». Nel 2014 ovviamente la pensava diversamente. «Ci sono migliaia di anime in questo movimento, però uno vale uno - spiegava a Che tempo che fa - come Grillo, Casaleggio, io e il gruppo parlamentare e i cittadini che partecipano sul portale».

NESSUNO SPAZIO PER ODIO E POPULISMI

Già nei giorni scorsi, prima che trapelasse la bozza sull'Ucraina, Di Maio si era preoccupato per le sorti del movimento: «Temo che diventi una forza politica dell'odio». Una preoccupazione campata per aria visto che il M5s è da sempre il partito dell'odio. Davvero non ricorda i Vaffa Day, l'antipolitica ingiuriosa, le gogne social, le liste di proscrizione contro i giornalisti, le campagne giudiziarie usate come clava per demonizzare gli avversari politici? Ieri ha promesso che nel suo partito «non ci sarà spazio per i populismi, i sovranismi, gli estremismi e l'odio». E l'impeachment a Mattarella che lui stesso aveva chiesto quando era il capo politico del M5s? Per il capo dello Stato, ieri sera, ci sono stati soltanto elogi. Tutto un altro Di Maio, insomma.

LA POLITICA ESTERA

Tra tutte, però, la più plateale inversione a u fatta da Di Maio attiene la sfera dei rapporti internazionali. C'era un tempo in cui il M5s era profondamente contrario alla moneta unica. Erano i tempi del FirmaDay, #fuoridalleuro. Nel 2014 Gigino sbraitava contro le élite, la Troika e la Merkel. «Se non ci liberiamo dall'euro - diceva - il Mezzogiorno diventerà una terra desolata e spopolata». Tre anni dopo, presentando il «Libro a 5 Stelle dei cittadini per l'Europa», aveva ribadito che l'euro «non è democratico» e che «bisogna prevedere procedure per uscirne». Non deve quindi stupirci se, sfogliando vecchi album, dovessimo imbatterci in fotografie coi Gilet gialli francesi. Era il 2019, neanche troppo in là negli anni. Con lui c'era pure Dibba.

Oggi, però, la strada col Che Guevara di Roma Nord si è divisa e Di Maio si professa europeista e pure atlantista, fermamente convinto dell'impegno dell'Italia nella Nato. E dire che, in passato, mai si è opposto alla richiesta del M5s di «superare la Nato». Ma erano altri tempi, appunto.

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