D a fine giurista, qual è o crede di essere, Giuseppe Conte conosce bene la teoria del decisionismo politico elaborata dal grande pensatore tedesco Carl Schmitt ai tempi della traballante Repubblica di Weimar. Si tratta, in poche parole, della teoria che legittima l'idea di una «dittatura costituzionale» che viene instaurata - a seguito di una guerra ovvero per una situazione di grave crisi, nel contesto cioè di uno «stato d'eccezione» - ad opera di chi, in quel momento storico, si trovi effettivamente nella possibilità di imporla e quindi di decidere.
Il presidente del Consiglio, evidentemente, si è convinto di essere stato posto dalla storia in quella posizione strategica. Nel passaggio dal governo gialloverde con gli odiati leghisti al governo giallorosso (o, se si preferisce, giallorosa acceso) con tutte le sfumature del progressismo politico, egli ha cambiato, almeno all'apparenza, natura. Il «Conte Travicello» o «Conte Tentenna» della prima maggioranza, esecutore passivo delle volontà dei suoi vice-presidenti, si è trasformato nel «Conte Decisionista» della seconda.
L'uso spregiudicato della «decretazione d'urgenza» - cioè dello strumento del decreto-legge che dovrebbe essere utilizzato soltanto, come a tutti è ben noto, in casi eccezionali - è diventato il connotato qualificante dell'attività del governo nell'ottica di tutelarsi dal pericolo di una crisi che avrebbe avuto come potenziale sbocco politico le elezioni anticipate con il rischio, certificato da tutti i sondaggi d'opinione, di un massiccio successo delle opposizioni. L'abuso della «decretazione d'urgenza» costituisce di per sé una prassi tipica dei momenti di crisi nel funzionamento fisiologico di una democrazia rappresentativa. Esso, infatti, sposta il baricentro del sistema politico sull'esecutivo e limita di fatto le funzioni del Parlamento.
Lo scoppio della pandemia del coronavirus ha dato una accelerazione alla trasformazione del «Conte Travicello» in «Conte Decisionista». Non più solo, ora, la classica «decretazione di urgenza» basata sui decreti-legge, ma una vera e propria inondazione di decreti ministeriali (a cominciare dai decreti del presidente del Consiglio, i Dpcm) e di normative regolamentari che stanno incidendo sulle libertà fondamenti del cittadino, quali sono indicate e sancite dalla Carta costituzionale, dalla libertà di movimento alla libertà di culto. È una linea di tendenza pericolosa, questa adottata dal governo e dal «Conte Decisionista», perché porta non più soltanto a una limitazione del ruolo del Parlamento ma ad una sua esautorazione vera e propria.
Siamo nell'anticamera del laboratorio dove si sta operando la trasformazione del sistema politico con l'archiviazione dei metodi, delle procedure, dei criteri della democrazia liberale. Che sia necessario, fermo restando l'obiettivo di tutelare al meglio la salute dei cittadini, è fuor di dubbio. Ma è necessario che ciò avvenga sia tenendo presente le esigenze di sopravvivenza del sistema economico e produttivo del Paese sia nel rispetto dei limiti operativi disegnati dalla normativa costituzionale.
Il «decisionismo» di Conte ha alcuni tratti da «cesarismo» o «bonapartismo» da operetta. Esso disorienta e, talora, spinge all'irrisione. Ma, d'altro canto, Giuseppe Conte non è Carl Schmitt. E la sua «dittatura costituzionale» potrebbe rivelarsi, quando non risibile, davvero pericolosa.
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