Adesso che Lorenzo Fontana è diventato presidente della Camera, improvvisamente, per molti è diventato il babau assoluto. Non solo per quelli che per anni hanno partecipato alla caccia alle streghe nei confronti di coloro i quali non fossero di sinistra e, quindi, lo avevano già messo ampiamente nel mirino per le sue posizioni conservatrici e tradizionaliste. «È divisivo», accusano i suoi detrattori che poi sono gli stessi che hanno elevato allo stesso ruolo politico e a una sorta di santità morale ed istituzionale Laura Boldrini, talebana della sinistra più radicale, pauperista, immigrazionista e laicista. E quindi ultra divisiva. Ma lei si aggirava per quei bassifondi, molto ben frequentati, del politicamente corretto e quindi non le si poteva dire niente. Era ed è una intoccabile. Il leghista Fontana, invece, è, e temiamo sarà, il bersaglio perfetto per il tiro al bersaglio dei radical chic annoiati: difende la famiglia tradizionale, è religioso e critica la lobby lgbtq+. Insomma, le ha proprio tutte, ma soprattutto gliene manca una fondamentale: non è di sinistra. Anzi è trucemente leghista, come direbbero quello che abitano i salotti buoni. Eppure il babau, nel suo primo discorso da numero uno di Montecitorio, ha detto una frase che è il contrario della biografia non ufficiale che la sinistra cerca di appiccicargli sulla fronte: «La Camera rappresenta le diverse volontà dei cittadini: la nostra è una nazione multiforme con diverse realtà storiche e territoriali che l'hanno formata e l'hanno fatta grande: la grandezza dell'Italia è la diversità. Interesse dell'Italia è sublimare le diversità». Vi sembra un discorso da babau? A noi sembra un elogio delle specificità e delle differenze, delle unicità che arricchiscono e ci consegnano un Paese ricco di sfaccettature, un esercizio di addizione e non di sottrazione. Ma anche un giusto atto di accusa nei confronti della livella del luogocomunismo, del politicamente corretto che tutto ottunde e della cancel culture che tutto elimina. Fontana, se muove da questi presupposti, parte bene: perché la sublimazione delle diversità è innanzitutto difesa della democrazia, specialmente in un periodo così minacciato dall'omologazione culturale e intellettuale.
Ed è proprio nel nome della diversità che gli italiani, lo scorso 25 settembre, hanno consegnato con decisione il governo nelle mani del centrodestra che ora - senza perdersi in liti interne - deve dimostrare di essere differente da chi lo ha disastrosamente preceduto.
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