Il dolore di Israele per i simboli del 7 ottobre. Il sostegno di Trump per eliminare i jihadisti

Verso la seconda fase con una Gaza "senza minacce"

Il dolore di Israele per i simboli del 7 ottobre. Il sostegno di Trump per eliminare i jihadisti
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Ci vorrebbe finalmente un risveglio collettivo, una rivoluzione della coscienza per rispondere alle notizie relative alla famiglia Bibas che provengono da un ufficiale di Hamas, Khalil al Hayya, l'erede di Sinwar e Deif ne annuncia la restituzione dei corpi per domani. Così quattro corpi saranno recapitati a Israele e nemmeno la notizia che sabato sei rapiti, stavolta vivi, verranno restituiti, porta un raggio di luce: Shiri, la madre che stringendo i suoi nati in una coperta, urla la fine della vita sua e delle sue creature di 9 mesi, Kfir, e di 4 anni, Ariel, mentre li strappano da Nir Oz, è fra mille immagini di orrore imposte a Israele e al mondo il 7 ottobre, la più simbolica. Quando Yarden, il padre, rapito a sua volta e rimasto in cattività 484 giorni, è stato restituito il 1° febbraio, nessuno ha sorriso e inneggiato come si fa per gli altri che tornano. Ciò che è rimasto della famiglia di Yarden, ha subito chiesto distanza e silenzio, e così è stato anche ieri. Adesso che sui giornali e alla tv riappaiono le testoline rosse dei bambini e di Shiri, sale il disgusto per un'opinione pubblica che ha voltato la testa, lo scandalo verso le istituzioni internazionali e i Paesi che non hanno mai chiesto l'immediata restituzione dei rapiti, che non ha bombardato di messaggi e manifestazioni i mediatori, la Croce Rossa. Peggio ancora, agli amici di Hamas che invadono le piazze, le librerie, i media. La morte dei bambini e della loro mamma è il risultato della connivenza internazionale con Hamas, più esplicita espressione dell'antisemitismo contemporaneo non è data di vedere.

Ieri si è saputa anche la buona notizia che sabato saranno restituiti sei rapiti vivi e dal punto di vista generale le improvvise concessioni numericamente più larghe del previsto, segnalano un'evidente tremore interno, la paura del rovesciamento politico che ha portato nel rapporto con Gaza l'appoggio a Netanyahu che può finalmente preludere a un'azione decisa che tagli le gambe all'organizzazione jihadista. Per ora invece Netanyahu accetta le pesantissime regole del gioco che prevede più di cento prigionieri palestinesi per un rapito; per concludere questa fase Israele ha consegnato molte roulotte e strumenti di lavoro con cui Hamas vuole dimostrare di essere ancora responsabile della Striscia: ma le armi sono un'altra cosa, non ne ha e non può più riceverne, solo l'odio jhadista la rende sfacciatamente aggressiva mentre usa l'arma delle vite di ostaggi stremati. La promessa israeliana e americana di distruggere Hamas viaggia ancora oggi in parallelo con la spinta verso l'ottenimento del maggior numero possibile di ostaggi, con poca fiducia nello slogan che li vuole «tutti, adesso a casa». Hamas sa che quella è l'unica arma che ha in mano, e per ora cerca la conclusione della prima fase, perché al Cairo, dove si trovano tutte le delegazioni, si cominci a trattare la seconda, quella che Witkoff considera già in corso. Hamas dovrebbe riconsegnare tutti i segregati nelle gallerie, e ottenere un totale cessate il fuoco.

Sul futuro della Striscia si seguiterà a discutere, mentre l'Egitto prepara un suo progetto che rimette in gioco i palestinesi e Trump tratta la fuoriuscita dalle rovine di Hamas del suo popolo senza speranza; l'espulsione di Hamas è il numero uno negli obiettivi di pacificazione della zona.

Molto più ragionevole di qualsiasi progetto che comprende nell'area il disegno distruttivo rappresentato dalla bandiera palestinese dal 1948, sostenuta oggi dall'Iran. Se ve ne dimenticate per un momento, guardate le fotografie dei bambini Bibas e di Shiri.

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