Domiciliari negati 3 volte. Detenuto malato muore nell'inferno del carcere

Il decesso forse dovuto a una forte glicemia E scoppia la polemica sul sovraffollamento

Domiciliari negati 3 volte. Detenuto malato muore nell'inferno del carcere

Doveva scontare una pena passata in giudicato di un anno e 10 mesi. Era un detenuto modello. L'avvocato aveva fatto per tre volte richiesta di trasferimento ai domiciliari nonostante mancassero due mesi alla libertà. E il motivo erano le condizioni di salute del cliente Massimo Tamagnini, 55anni lucchese, sposato, padre di una ragazzina e detenuto nel carcere San Giorgio di Lucca per reati contro il patrimonio. Da quella cella non è mai uscito vivo. È lì che, il giorno di Santo Stefano, gli agenti della Penitenziaria hanno trovato il suo corpo senza vita. A stroncarlo un malore, probabilmente una forte glicemia.

E adesso la magistratura lucchese vuole vederci chiaro. Il pm Antonio Mariotti ha aperto un fascicolo contro ignoti e disposto l'autopsia sul corpo dell'uomo da tempo affetto da gravi problemi di salute. Si cerca di capire le casi reali della morte e se ci siano eventuali responsabilità da parte del personale del penitenziario. Dove non appena la notizia del cadavere trovato in cella si è diffusa è scoppiata la rivolta.

Ad alzare la voce i detenuti della terza sezione, quella con gli ospiti più problematici, che hanno cominciato a sbattere pentole sulle inferriate. La tensione è arrivata alle stelle tanto che fra gli stessi carcerati si sono verificate risse e quattro di loro sono stati ricoverati in infermeria. Il verdetto dell'autopsia arriverà tra tre mesi, nel frattempo anche i familiari dell'uomo hanno nominato un perito di parte.

Ma intanto l'Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), dopo l'episodio lancia un sos al ministero della Giustizia. «Siamo drammaticamente vicini commenta il segretario generale Leo Beneduci al punto di non ritorno verso l'assoluto disastro del sistema penitenziario italiano. Rinnoviamo l'invito al governo e ai ministri Bonafede e Salvini per l'apertura di ogni spazio di analisi e confronto con il personale di polizia penitenziaria».

Quella del San Giorgio di Lucca è la seconda morte in cella dal 2016, l'ennesima in tutta Italia dove dal 2017, almeno 60 detenuti si sono tolti la vita. A puntare il dito sui numeri è il Garante per i diritti dei detenuti, Franco Corleone. «Quello di Lucca è un episodio tragico che non doveva accadere. I detenuti spiega in Toscana stanno aumentando. Mentre in tutto il Paese sono quasi 60mila, nella nostra regione hanno superato le 3400 unità. Tutti in condizioni preoccupanti». Quelli calcolati da Corleone, infatti, sono le stesse cifre che la Toscana e l'Italia avevano nel 2013, quando la Corte europea per i diritti umani di Strasburgo condannò il nostro Paese per trattamenti inumani verso i reclusi. Da quel giorno dice nulla è cambiato per risolvere l'emergenza sovraffollamento. Il risultato è che di carcere in molti casi si muore ancora».

Protesta anche il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe. «È successo scrive in una nota il segretario Donato Capece che il 26 dicembre è morto un detenuto italiano e nella stessa serata gli occupanti di due sezioni hanno inscenato una protesta. Nella prima mattinata del 27 dicembre, invece, un detenuto italiano ha gettato del caffè verso un detenuto tunisino, il quale poi è stato aggredito fisicamente per le scale della Terza sezione.

Era prevedibile che ci fosse una rivalsa e infatti poco dopo un tunisino ha aggredito con pugni tre italiani poi ha divelto la porta e ha cercato di colpire gli stessi. Succede questo nella Terza sezione. A Lucca abbiamo un personale di polizia penitenziaria sotto organico. Così non si può andare avanti».

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