Il Dottore umiliato in cella offesa per tutti gli italiani

Il Dottore umiliato in cella offesa per tutti gli italiani

Da liberale mi spaventano le generalizzazione e aborro le teorie che spesso sfociano in ideologie. Da buon realista conosco solo quello che mi è vicino e amo (quando riesco) solo quello che mi è prossimo. Per cui non occupandomi di carceri né di giustizia, ho sempre evitato l'argomento. Ieri un giornalista che stimo, Stefano Zurlo, ha raccontato la situazione di Marcello Dell'Utri in carcere. Trasferito da Parma a Roma, Dell'Utri si è sentito male. Le sue condizioni si sono aggravate ed è stato ricoverato all'ospedale Pertini. Come è noto ha problemi cardiaci e diabetici, a cui si è aggiunta un'infezione alle vie urinarie. La moglie, Miranda, ha spiegato le difficoltà di ottenere i permessi per fare gli esami medici, e una volta fatti la difficoltà di avere gli esiti e poterli sottoporre agli specialisti. Tra le cose dette, una soprattutto mi ha colpito: «Il primo impatto è stato molto duro. In cella c'erano piccioni e nel cesso, alla turca, escrementi umani. Marcello ha pulito tutto e si è sistemato».

Ho lavorato otto anni per Marcello Dell'Utri e mi si perdoni se da questo punto in poi utilizzerò per definirlo il termine «dottore», non per ragioni di sudditanza o di mitizzazione (di cui credo esser scevro), ma è l'appellativo comunemente usato dai noi suoi collaboratori. Il dottore, dunque, ha pulito il cesso. So che a molti, i cosiddetti giustizialisti che amano più della giustizia il suo frettoloso surrogato, questo farà piacere: un potente parificato agli umili. Invece noi che lo abbiamo conosciuto, possiamo immaginare la scena, il dottore impassibile che pulisce il cesso. Magari quisquiliando, come spesso faceva tra il serio e il faceto, la sua battuta preferita: «Se tutto andasse bene come va male, andrebbe benissimo». Non voglio farne un Socrate, ma assicuro che il dottore è il precipitato di duemila anni di sicilianità, il suo carisma innegabile deriva dal fatalismo quasi erodotiano di aver visto città grandi diventare piccole e viceversa, consapevole forse che la «felicità umana non resta mai ferma nello stesso luogo».

Ciò nonostante è giusto che il dottore trovi la turca della sua nuova cella sporca di escrementi umani e debba pulirla? Più in generale è giusto che non possa adire a cure mediche nel modo migliore, pur stando male ed avendo ormai raggiunto i 75 anni, quasi che lo si voglia far morire in carcere? Non ne faccio un caso esemplare perché Dell'Utri è un (ex) potente, o perché è una persona celebre. Semplicemente perché lo conosco e mi è stato prossimo e le parole della moglie mi urtano e pensare alle piccole umiliazioni che subisce mi umilia. Da liberale, mi interessa solo il caso specifico, ma dal caso specifico riesco a indurre un quadro più ampio. E in generale, da oggi, penso che qualsiasi detenuto non debba subire umiliazioni. E dispiacendomi la situazione del dottore, da oggi, mi dispiace la situazione di qualsiasi detenuto, anche che non conosco, quando viene sottoposto a umiliazioni da una burocrazia e da una magistratura che «gradatamente si è incallita agli spasimi delle torture per un principio rispettabile, cioè sacrificando l'orrore dei mali di un uomo solo sospetto reo, in vista del ben generale della intera società».

Stefano Zurlo sottolinea come la moglie del dottore abbia rotto uno «storico riserbo» della famiglia. Un riserbo anche mio, e di molti antichi collaboratori che hanno seguito la vicenda tra stupore e amarezza, accettando con lo stesso fatalismo che ci è stato insegnato un lunghissimo processo e poi la sentenza. La res iudicata produce una verità processuale. Ma la verità processuale è solo una delle possibili verità. Nessuno di noi ha mai creduto che Marcello Dell'Utri avesse connivenze con la mafia. Pur conoscendone i limiti e i difetti, nessuno di noi ha mai pensato che fosse un mafioso o operasse a sostegno della mafia. Il reato per cui è stato condannato, «concorso esterno in associazione mafiosa», è una costruzione giurisprudenziale molto discussa. La Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha preso in esame la condanna di Contrada, un caso molto simile, e ha accolto il ricorso proprio per la vaghezza della fattispecie.

Non amo le battaglie ideologiche, né mi interessa molto il «bene generale». Fatico perfino a coltivare il mio giardino, che è l'unica cosa da fare come insegnava Voltaire.

Credo comunque che il mondo si cambi dalle piccole cose, cominciando da quelle più vicine. E sento che il caso Dell'Utri va contro i principi della civiltà giuridica a cui appartengo e a cui sono orgoglioso di appartenere. Per cui da oggi, non manterrò più riserbo sul tema.

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