Draghi ad Ankara arruola il "dittatore". Asse con Erdogan per cercare la pace e lanciare l'economia

Sorrisi e tè alla menta. Siamo "alleati", va bene, "partner", e "amici" addirittura. Ma è così che funziona, anche con i dittatori bisogna saperci fare

Draghi ad Ankara arruola il "dittatore". Asse con Erdogan per cercare la pace e lanciare l'economia

Sorrisi e tè alla menta. Siamo «alleati», va bene, «partner», e «amici» addirittura. Ma è così che funziona, anche con i dittatori bisogna saperci fare: tenere il punto, sostenere i valori della democrazia e alla fine cooperare. Prendete Erdogan, che un anno fa Mario Draghi prese di petto al punto di provocare una mezza baruffa diplomatica. Ora che c'è la guerra, la crisi energetica, la pressione migratoria, il gas liquido da comprare per liberarci dalla dipendenza dal Cremlino, ebbene, visto che non sempre si possono scegliere gli interlocutori, è proprio con il Sultano che bisogna trattare. «Italia e Turchia sono partner, amici, alleati - scandisce il premier - Abbiamo davanti grandi sfide, a partire dal conflitto in Ucraina, e vogliamo lavorare insieme per affrontarle». Le incomprensioni sono archiviate, ci sono problemi più urgenti. «Siamo uniti nella condanna dell'invasione russa e nel sostegno a Kiev. Al tempo stesso siamo in prima linea nella ricerca di una soluzione negoziale». Se Erdogan si è già cucito addosso l'abito del mediatore con Mosca, Draghi proverà a convincere Zelensky ad accettare il piano turco per sminare il porto di Odessa e salvare il grano.

Bandiere, cavalli, fanfare, truppe schierate. Terzo vertice bilaterale, il primo dopo dieci anni. Il presidente del Consiglio arriva ad Ankara con uno stuolo di ministri, Di Maio, Lamorgese, Guerini, Cingolani, Giorgetti, e lo aspetta la sigla di una serie di nove accordi: dalla difesa alla ricerca, dall'industria alla protezione delle informazioni, fino al riconoscimento delle patenti. Cruciale il ruolo del ministro della Difesa per il nodo dei giacimenti di gas Eni al largo di Cipro e per rafforzare le relazioni nel settore dell'industria bellica. Una visita al mausoleo di Ataturk, poi un lungo faccia a faccia con Erdogan da cui nasce un asse Roma-Ankara per la pace, il tavolo dei ministri per la parte economica e un focus sugli aspetti diplomatici legati alla Nato. È una lunghissima dichiarazione congiunta che invita a mantenere «un dialogo franco e aperto».

Soldi, energia, geopolitica. «Il summit di oggi - spiega Draghi - serve a rafforzare i legami commerciali tra i nostri Paesi. La Turchia è il primo nostro partner nel Medio Oriente, nel 2021 l'interscambio ha raggiunto quasi venti miliardi di dollari, il 23,6 per cento in più dell'anno precedente». E questo nonostante le polemiche, le divergenze politiche, le convocazioni degli ambasciatori. Le intese di Ankara «riguardano le piccole e medie imprese e la sostenibilità, che rimane l'obbiettivo a lungo termine del governo». Erdogan concorda: «Abbiamo rafforzato la cooperazione».

Ma tutto ciò non impedisce di affrontare anche gli argomenti scivolosi, come la repressione dei curdi, la questione femminile e l'immigrazione. «Nella nostra conversazione - racconta Draghi durante la conferenza stampa - abbiamo discusso anche dell'importanza del rispetto dei diritti umani. Ho incoraggiato il presidente Erdogan a rientrare nella Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Italia e Turchia condividono il Mediterraneo. La nostra crescita dipende dal rispetto dell'ambiente e delle persone. Penso alla gestione dell'immigrazione, che deve essere umana ed efficace». L'Italia fa quello che può, è da sempre aperta e accogliente, però adesso scoppia. «Noi cerchiamo di salvare vite umane, ma il limite è raggiunto, non ce la facciamo più». Sul punto, Erdogan da la colpa ad Atene: «La Grecia con i suoi respingimenti è una minaccia pure per voi».

Ma il piatto forte è la guerra al centro dell'Europa. Draghi ringrazia la Turchia «per la mediazione sui cereali, un'intesa che può essere strategica: al vertice del G7 il piano delle Nazioni Unite prevede un ruolo centrale per Ankara». Si spera che Mosca accetti, «sarebbe un segnale distensivo, un primo atto di concordia». Bisogna garantire che non si siamo attacchi turchi e che le navi non portino armi. Il Sultano appare ottimista, non occorre sminare i porti e sono già stati individuati dei corridoi sicuri nel Mar Nero. «La trattativa va avanti, speriamo di arrivare a un risultato sul grano tra dieci giorni con un accordo tra Putin e Zelensky sotto l'ombrello dell'Onu».

Si parla pure di Libia, dove sembra che giochiamo in squadre diverse ma «pace e stabilità sono obbiettivi comuni».

E alla fine, dopo le condoglianze per la frana della Marmolada, ritorna sulla vecchia richiesta di entrare nella Ue. «Per noi è essenziale rafforzare la prospettiva di adesione all'Unione europea».

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