Draghi: adesso basta. La Farnesina striglia l'ambasciatore russo

Il segretario Sequi convoca Razov: da noi i media sono liberi. Un colloquio "teso"

Draghi: adesso basta. La Farnesina striglia l'ambasciatore russo

Quando arriva alla Farnesina, Sergey Razov sa già di non essere stato invitato a un incontro tra amici, tutto the e simpatia, ma forse neanche lui si aspetta una sparata così. Infatti. Basta parlare male dell'Italia, gli dice subito Ettore Francesco Sequi, il segretario generale del ministero degli Esteri che lo ha convocato, la misura è colma, siamo indignati. Sono gravissime e «inammissibili», gli spiega, le insinuazioni dell'ambasciatore e del ministero degli Esteri russo sulla amoralità delle istituzioni italiane, e sono grottesche, paradossali, «offensive» le accuse di un complotto politico-mediatico ordito dal governo ai danni di Mosca. Il mondo alla rovescia. Non siamo certo noi a spiare, questo il senso al di là del linguaggio della diplomazia, e non abbiamo certo inventato noi la dezinformacija. Piuttosto, dice Sequi, mentre speriamo di raggiungere presto «una soluzione negoziata del conflitto su base equa che rispetti la sovranità ucraina e il diritto internazionale», lavoriamo intanto a un'intesa per sbloccare le esportazioni di grano per evitare gravi conseguenze alimentari.

Dunque, un colloquio «franco e teso», come si dice in questi casi, con Sequi che condanna «l'aggressione ingiustificata» a Kiev e con Razov che non rinuncia a replicare, sottolineando «le dichiarazioni inaccettabili di altri funzionari nei confronti della Russia e della sua leadership». Un duro faccia a faccia che va oltre il piano formale e diplomatico, ma che è un gesto politico preciso. La convocazione dell'ambasciatore, si legge in una nota della Farnesina, «avviene su istruzione del ministro degli Esteri Luigi Di Maio e di concerto con la presidenza del Consiglio». Insomma, Mario Draghi si è stancato delle provocazioni e ha voluto dire basta alla campagna di calunnie e destabilizzazione dell'Italia organizzata dal Cremlino, al rovesciamento dei ruoli. Roma, è il messaggio di Palazzo Chigi, non è il ventre molle dell'alleanza atlantica, lo zar se ne faccia una ragione. E se nelle tv si sente la pure la voce dei putiniani non è un segno di debolezza, un varco dove inserirsi per influenzare l'opinione pubblica occidentale. Semplicemente, è la prova che siamo una democrazia, dove a differenza di Mosca non è il governo a controllare i giornali e le televisioni.

E una democrazia cerca di risolvere i dissidi, non di alimentarli. Ma le colpe sono chiare. «La guerra scatenata dalla Federazione russa - dice Sergio Mattarella incontrando i vertici dei carabinieri - sta minando le basi della convivenza nel mondo. È un grande impegno quello a cui siamo chiamati per assicurare pace, sicurezza e progresso e l'Arma è una parte significativa dello sforzo nazionale in atto». Tenere il punto, coordinarsi con Ue e Nato e lavorare per il cessate il fuoco, questa linea.

Ma da parte russa non si vedono ancora spiragli. Anzi, Razov insiste nelle sue accuse. «La linea di propaganda che sta dominando nei media italiani difficilmente può essere qualificata se non ostile». E lancia qualche altra velata minaccia di ritorsioni.

«L'ambasciatore - riporta una nota - ha chiesto moderazione ed equilibrio, tradizionali nella politica estera italiana, nell'interesse del mantenimento di relazioni positive e di cooperazione a lungo termine con il popolo russo». Unica apertura piccola piccola sui cereali che marciscono nei silos ucraini. «Sono stati forniti dei chiarimenti».

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