Ricordate Norman Schwarzkopf o David Petraeus? Nel 1991 e nel 2005 i loro nomi diventarono il simbolo delle guerre americane in Iraq. Ma al di là di quei casi particolari qualsiasi operazione militare dipende sempre dalle capacità di un comandante in capo responsabile del coordinamento di armi e reparti. In Afghanistan il comandante italiano cambiava ogni sei mesi in concomitanza con la rotazione dei reparti chiamati a svolgere un ruolo centrale nelle operazioni. Chiedetevi, però, se ricordate il nome del generale russo responsabile della guerra in Ucraina. Non lo ricordate perchè, fin qui, non esisteva. La cosiddetta «Operazione Speciale» non aveva, infatti un Capo di stato maggiore. E questo è, forse, uno dei motivi degli insuccessi russi nei primi 45 giorni di guerra. Ora però si cambia.
Da oggi tutte le operazioni sul teatro ucraino risponderanno agli ordini del generale Alexander Dvornikov. Per il Cremlino quel nome è un'assoluta garanzia. A Dvornikov venne affidato, nel settembre 2015, l'inizio della missione in Siria. Una scelta rivelatasi vincente. Grazie all'uso combinato e massiccio di cacciabombardieri e reparti siriani particolarmente rodati Dvornikov ribaltò le sorti del conflitto, mise con le spalle al muro i ribelli islamisti e gettò le basi per la liberazione di Aleppo. Quel successo gli valse, nel 2016, l'onorificenza di Eroe della Federazione Russa consegnatagli da Vladimir Putin in persona e la promozione a comandante del distretto meridionale della Russia. Con il nuovo incarico viene chiamato, invece, a rimediare gli errori dei primi 45 giorni di guerra quando l'assenza di un comando unico ha reso quasi impossibile il coordinamento tra armi e unità. Esemplare, da questo punto di vista, lo scarso appoggio aereo garantito alle colonne russe rimaste esposte agli attacchi ucraini mentre elicotteri, droni e cacciabombardiere sembravano ignorarle anziché proteggerne l'avanzata.
In altri casi è mancato persino il coordinamento tra reparti (unità aviotrasportate, forze speciali, mezzi corazzati) impegnati sullo stesso fronte o nella stessa operazione. Una «defaillance» evidenziata dalla perdita di almeno sei generali costretti a spingersi nelle zone del fronte per ripristinare le linee di comando compromesse da scarse comunicazioni e dalla mancanza di coordinamento tra unità. In questo contesto la nomina di Dvornikov è anche un segnale dell'insoddisfazione nei confronti del ministro della Difesa Sergei Shoigu e del capo di stato maggiore Valerij Gerasimov fin qui indiscussi artefici dell'Operazione Speciale. Un'operazione che ora Dvornikov deve chiudere il più velocemente possibile garantendo almeno la conquista di Mariupol e di tutti gli altri territori appartenenti amministrativamente alle autoproclamate repubbliche di Luhansk e Donetsk. Ma oltre a misurarsi con tempi assai stretti Dvornikov dovrà anche far i conti con le modalità dell'offensiva. In Siria cacciabombardieri, missili e artiglieria bastarono a neutralizzare le difese islamiste.
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