E Salvini querela Saviano (su carta intestata Viminale)

Scrisse: «Ministro della malavita». E lui: «Offende chi combatte le mafie. C'è un limite anche alle fesserie»

E Salvini querela Saviano (su carta intestata Viminale)

Roma A volte gli effetti delle azioni vanno oltre il voluto, altre volte meno. Non è ancora chiara perciò l'esatta misura - neppure la natura - della querela per diffamazione presentata ieri (anche se porta la data di oggi per mero errore materiale) dal ministro dell'Interno, Matteo Salvini, nei confronti di Roberto Saviano. Un documento di quattro pagine più allegati redatto su carta intestata del Ministero dell'Interno, e non per sbadataggine. Salvini ritiene che nelle offese a lui rivolte si configuri «una distruzione dell'onore e della reputazione dell'Amministrazione e del soggetto posto al vertice della stessa». In soldoni, più che un attacco politico alla sua persona, uno tra i tanti, i legali di Salvini ritengono che stavolta vada alzato il tiro, perché il Ministero viene accusato «di attività e provvedimenti partigiani contigui con la criminalità organizzata».

Fatto senza precedenti, si presta a varie interpretazioni (nonché insidie). È il Viminale, nella figura del suo massimo e legale rappresentante, che querela un giornalista per le opinioni espresse. Una specie di «vilipendio» in tono minore (il reato di vilipendio - che non è certo a querela di parte - ha un oggetto diverso, il dileggio di istituzioni ben definite dal codice penale). Qui siamo invece in un campo assai più scivoloso, che si inquadra nella querelle sempre più dura tra il capo della Lega e l'autore di Gomorra, rinfocolatasi quando Salvini ha prospettato l'ipotesi di togliere la scorta a Saviano. La reazione di quest'ultimo era stata veemente, ribadita in diversi post su Facebook, video, nonché in un'intervista a Sueddeutsche Zeitung. «È un ministro della malavita», aveva detto e scritto ripescando la nota invettiva di Salvemini nei confronti di Giolitti senior. E ancora: «ministro criminale, usa parole da mafioso, da codardo non ha detto a Rosarno niente contro la 'ndrangheta e non ricorda i legami tra Lega Nord e la 'ndrangheta». Così che lo scrittore finisce per adombrare, viene scritto nella querela, la tesi che esista «uno scandaloso patto di non aggressione tra 'ndrangheta e ministero dell'Interno». Espressioni che generano, continua l'atto depositato in Procura, «la convinzione che il ministro dell'Interno, anziché combattere la malavita organizzata, scenda a scellerati accordi con la criminalità organizzata stessa, calpestando così i propri compiti istituzionali e abdicando alla funzione tipica cui è deputata l'Amministrazione». Il punto cardine, sostenuto dai legali di Salvini, è appunto questo: «Definire mafioso il soggetto posto all'apice dell'Amministrazione che più di ogni altra ha il compito di combattere le organizzazioni criminali e affermare (nella sua interezza) scende a patti con la criminalità organizzata, svilisce il ruolo e la funzione dell'Amministrazione medesima, mortificando l'azione quotidiana di tutti i suoi appartenenti, lesi e offesi dalle affermazioni inveritiere di Saviano...». Intervistato da una radio, Salvini ha quindi spiegato: «Io non querelo quasi mai, la critica ci sta, non mi spaventano i toni forti. Però... del mafioso a me non lo dai... C'è un limite alle fesserie, alle cazzate. Io vado avanti, degli insulti e dalle minacce me ne fotto».

Strascichi e polemiche seguiranno.

Certo è che solo due giorni fa Saviano aveva scritto un altro post su Salvini, che sarebbe stato meglio risparmiarsi: «Delle tante querele annunciate (con questa sarebbero quante: 4? 5? S'è perso il conto) ad oggi non ne è arrivata nessuna... come sempre, solo chiacchiere...».

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