E le sirene risvegliano gli incubi di Tokyo

Allarme all'alba in Giappone. Che torna all'angoscia di Hiroshima e Nagasaki

Esercitazione soldati JSDF nella base aerea americana a Fussa
Esercitazione soldati JSDF nella base aerea americana a Fussa

A volte ritornano. Sono gli gli spettri del passato, i fantasmi dei sopravvissuti. Quelli coi quali i conti non si chiudono mai. Anche allora, la volta di Hiroshima, accadde ad agosto. Settantadue anni fa, la catastrofe dal cielo arrivò dopo le otto del mattino. Tre giorni dopo toccò a Nagasaki. Su Hiroshima «Little boy», il ragazzino. Poi, su Nagasaki, il Ciccione, «Fat man». I nomi orribilmente scherzosi con cui vennero chiamate le due atomiche che fecero centinaia di migliaia di morti e indussero il Giappone alla resa senza condizioni.

Stavolta mancavano pochi minuti alle 6 quando le sirene, rimaste in sonno per settantadue anni, si sono risvegliate tutte dopo un letargo che sembrava non dovesse finire mai. Nessuna bomba, stavolta. Ma per un momento, è stato davvero come se. Lo è stato per i vecchi, soprattutto. Quelli che furono bambini, nell'agosto di quel 1945, e nei lunghi mesi che precedettero quell'atroce estate. Ma anche per i giovani di oggi, che mai, fino all'altro ieri, avevano pensato di poter rivivere le angosce dei padri e dei nonni.

Gli incubi, in Giappone, arrivano con le prime luci del mattino. Le rare immagini che ieri hanno fatto il giro del mondo mostravano un mondo vuoto. Un laghetto di acque appena increspate da una brezza leggera, al di là di una staccionata. Una fila di alberi. Un cielo lattiginoso perlustrato inutilmente dall'obiettivo di un telefonino nell'inutile ricerca dell'oggetto che aveva scatenato le sirene; rare auto di passaggio, cortili vuoti, i fili della corrente elettrica che ondeggiano al vento, da un palo all'altro. Nessun volto. Solo quel lungo latrato delle sirene che sveglia il Giappone dopo settantadue anni di pace. Un paesaggio da day after, anche se il giorno prima è stato un giorno come tutti gli altri.

Un minuto dopo, le linee telefoniche sono sovraccariche. Tutti chiamano tutti. Chiedono, offrono rassicurazioni, condividono ansie e spavento. «State bene? Siete a casa? Sarà il caso di portare i bambini a scuola?». Nella notte, un sms delle autorità aveva svegliato i giapponesi: «Ritiratevi in un edificio solido o un seminterrato».

Nei notiziari del mattino, i fantasmi del passato prendono forma. Il pazzo di Pyongyang ha lanciato uno dei suoi ordigni che ha scavalcato l'isola di Hokkaido. «Una minaccia grave e senza precedenti», dice in tv il premier Shinzo Abe. «Lancio di missile, lancio di missile. Recatevi in un luogo sicuro» ripete la televisione. «Cercate strutture solide, antisismiche». Nessuna contromisura per intercettare e neutralizzare il missile, raccontano i commentatori. E non si capisce se la mancata reazione sia stata dovuta a impreparazione, a insipienza, o se invece si è scelto di mantenere i nervi saldi senza cedere alla provocazione del «Fat Man» di Pyongyang. Dettagli, in fondo.

Settantadue anni dopo, le sirene dell'allarme aereo riportano il Giappone al suo straziante passato, quando il nemico vestiva la

divisa degli yankee. Ma non parlate di strategie e di nuove alleanze, a chi era un bambino nel Quarantacinque. L'orrore della guerra, raccontano quelle sirene, è lo stesso, non importa quale sia il quadrante da dove arriva.

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