La strada per la ripresa è quella giusta, lo si è visto dall'extragettito di oltre 24 miliardi certificato dall'assestamento di bilancio che scongiura, come ha ammesso al Giornale il viceministro dell'Economia Maurizio Leo (foto), il rischio di una manovra bis per il 2025. Ma è necessaria qualche correzione in corsa per assicurare ancora più gettito, confermare gli sgravi fiscali, contributivi e previdenziali varati nel 2023 (che pesano per 30 miliardi) e tagliare le tasse al ceto medio sopra i 50mila euro. Soprattutto sul Concordato preventivo biennale, una sorta di accordo tra partite Iva e Agenzia delle Entrate, da cui il Mef si attendeva almeno due miliardi: chi accetta di pagare le tasse e ha un Indice di affidabilità fiscale (Isa) ad alto rischio di evasione non dovrà temere di subire controlli e per il primo anno avrà uno sconto del 50% sul dovuto. Se guadagnasse più del previsto, potrebbe tenere per sé il tesoretto. Ma quello che sembrava l'arma decisiva per stanare l'evasione al posto del tanto odiato Redditometro - riapparso e ricacciato nell'oblio, basato sul tenore di vita dei contribuenti e su spese calcolate in modo statistico-induttivo - si è arenata: dal 15 giugno a oggi solo una piccola percentuale delle partite Iva e degli autonomi con reddito inferiore a 85mila euro all'anno ha deciso di aderire. A metà luglio il dato era fermo al 2% di 4,5 milioni di partite Iva. Per aderire c'è tempo fino al 31 ottobre, ma la strada è in salita.
Se ne discuterà oggi in Consiglio dei ministri con l'esame definitivo dello schema correttivo al decreto legislativo: l'ipotesi che si fa strada è la possibile rateizzazione del pagamento degli acconti in caso di adesione spalmati nell'anno successivo e l'avviso bonario che passa da 30 giorni a 60 giorni. Previsti correttivi anche su decadenza per infortunio, malattia o decesso.
Il problema non è lo strumento, ma i vincoli e la fase economica che stiamo vivendo. Accettare il concordato significa pagare mediamente più degli anni passati, con l'incognita della ripresa, legata a fattori interni ma anche all'inflazione allo scenario geopolitico internazionale. C'è tempo fino all'1 agosto per sistemare il decreto correttivo in discussione in Parlamento. Secondo il professionista romano Gianluca Timpone «l'algoritmo utilizzato spinge troppo in alto il maggior reddito», l'adesione ha senso «se chi aderisce sa che i ricavi non dichiarati sono in linea con la soglia fissata».
Prende piede anche l'ipotesi lanciata dal Consiglio nazionale dei commercialisti: una flat tax al 10% sulla differenza di reddito fra dichiarato e calcolato per chi ha dall'8 in su come indice Isa; il 12% per chi ha tra 6 e 8; il 15% per chi è sotto il 6. «Ci sono margini per le loro richieste, di concerto con governo, Ragioneria dello Stato e Mef, è un'idea di buon senso che può rendere il concordato più appetibile», è il parere del leghista Massimo Garavaglia, presidente della commissione Finanze del Senato. Tanto che il Parlamento ha messo la flat tax come conditio sine qua non per dare l'ok.
Secondo Claudio Defilippi, acceso sostenitore della Rottamazione quinques e del condono delle liti pendenti «lo Stato pretende troppo, chi fa fatica a pagare le vecchie tasse preferisce rischiare accertamenti che indebitarsi». Anche Timpone, che spinge sulla conciliazione, è d'accordo: «Bisognerebbe ridurre la percentuale Iva da versare e abbattere le sanzioni sulle somme già oggetto di rateizzazione.
Per Francesco Zappia di Research&Investigation «perché sortiscano effetti espansivi, per l'Erario e per il sistema, le misure siano sistemiche». Scettico Marcello Guadalupi: «Lo spauracchio della verifica non può essere la ragione preminente per convincere i professionisti ad aderire».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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