Inutile far finta di non sapere o, peggio, di non aver capito. Mario Draghi al Quirinale vorrebbe andarci eccome. Un'aspirazione legittima, probabilmente incoraggiata dal timore di rimanere ostaggio di una maggioranza impazzita a causa dell'approssimarsi delle elezioni politiche. Ma quali conseguenze avrebbe, oggi, la rinuncia al governo di Mario Draghi? Il rischio è che l'Italia si ritrovi nelle condizioni descritte da Dante nel Purgatorio: una nave senza nocchiere in gran tempesta.
Mai come oggi, infatti, presidenza della Repubblica e del Consiglio sono fisiologicamente intrecciate e in equilibrio precario sulla corda lacera di un sistema politico in crisi. L'equilibrio funziona, ma è chiaro a tutti che cambiare è un rischio e che il rischio potrebbe rivelarsi fatale: la lama di una mannaia sulla stabilità politica, sulla qualità del governo di pandemia e Pnrr, sull'immagine dellItalia in Europa e sui mercati. Il presidente della Repubblica va necessariamente cambiato, perché Sergio Mattarella sembra indisponibile ad un reincarico. Il presidente del Consiglio no. Draghi appare convinto che con un altro premier nulla cambierebbe e che, dopo le elezioni, dal Quirinale avrebbe il potere di vigilare sul Pnrr oltre che di trattare con la Commissione europea e, da pari a pari, con i capi di stato e di governo dei paesi membri. Così fino al 2026, anno in cui si concluderà il ciclo del Pnrr. È difficile crederlo.
Poiché ormai anche i grillini hanno capito che uno non vale uno, non è affatto detto che l'attuale maggioranza regga un cambio di premier, ed è chiaro che una crisi di governo al buio pregiudicherebbe l'immagine che grazie a Draghi l'Italia sta dando di sé: un Paese stabile, operoso, affidabile. Il cammino del Pnrr rallenterebbe, la riforma del patto di stabilità naufragherebbe, lo spread salirebbe, il Paese pagherebbe costi alti. Se, poi, le elezioni dovessero decretare la nascita di una nuova, ampia, maggioranza, il ruolo del Capo dello Stato tornerebbe ad essere quello notarile previsto dalla Costituzione. Il che, detto brutalmente, vorrebbe dire che dal Quirinale Draghi non toccherebbe palla. Se invece le elezioni non decretassero un vincitore netto, l'ex premier non sarebbe più disponibile per un incarico di governo.
Insomma, è interesse della Nazione che Mario Draghi resti dov'è.
Ma poiché perderlo sarebbe una catastrofe, è dovere dei partiti rassicurarlo sul fatto che quest'ultimo anno di legislatura non pregiudicherà l'azione del suo governo. Perciò occorre che i leader siglino, credendoci, un patto di fine legislatura.
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