Le Pen "doppia" Macron. La Francia torna alle urne

Marine Le Pen e il suo giovanissimo erede designato Jordan Bardella intorno al 33%

Le Pen "doppia" Macron. La Francia torna alle urne
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Marine Le Pen e il suo giovanissimo erede designato Jordan Bardella intorno al 33%. Estrema destra francese (col 5/6% attribuito a Francia Fiera di Marèchal Le Pen e Zemmour) prossima a un astronomico 40. La lista Renaissance del presidente Emmanuel Macron appena sopra il 15%, indebolita dalla risurrezione dei socialisti quasi alla stessa quota grazie al brillante nuovo leader Raphael Glucksmann (che ha tolto voti anche all'estrema sinistra, franata sotto il 9%) ma soprattutto dall'incapacità del presidente di sintonizzarsi con gli umori maggioritari nel Paese su immigrazione, burocrazia, agricoltura vessata da norme Ue assurde. Le Europee suonano qualcosa di più di un campanello d'allarme per Macron, anche se non è una campana a morto. Quanto basta per indurlo ad annunciare in un breve e asciutto discorso il clamoroso scioglimento dell'Assemblea nazionale (il Parlamento monocamerale francese) e nuove elezioni legislative per il prossimo e vicinissimo 30 giugno.

Macron parla di «decisione pesante», ma afferma non esserci «nulla di più repubblicano che restituire la parola al popolo sovrano, nella certezza che saprà fare la scelta giusta per la democrazia francese e per il futuro della nazione». Convocati i suoi ministri in tarda serata, ne è uscito un comunicato battagliero: alle Europee c'è stata forte astensione, noi siamo abituati ad assumerci rischi e andremo a elezioni per vincerle. Dall'altra parte, ovviamente, si parla di «Macron indebolito» e di «momento di svolta per mandare al governo il nostro Bardella».

Esauriamo qui il breve resoconto dei fatti e analizziamo il senso di questo inatteso terremoto politico Oltralpe. Prima considerazione: anche se Le Pen ha vinto (il suo miglior risultato alle Europee nel 2014 era stato un 24,8%) la vera notizia è come e quanto Macron abbia perso. Con questi lusinghieri risultati, la destra sovranista francese rimarrebbe all'opposizione, un po' come il Pci di Berlinguer negli anni Settanta, che arrivò al 34% ma, anche se pretendeva di avere il diritto di governare, non espresse mai un presidente del Consiglio né ebbe dei propri ministri. La sconfitta personale di Macron è invece innegabile, ma il ben visibile travaso di voti dal suo partito al redivivo Psf, che era precipitato al 4%, fa sì che i due partiti del centrosinistra francese insieme si mantengano sul 30%, cui può sommarsi il 7% dei gollisti.

Secondo: in Francia c'è un sistema presidenziale. Significa che la posizione del presidente Macron non è in discussione, in quanto eletto dai cittadini per un mandato di cinque anni che scadrà nel 2027. Un presidente non ha bisogno di una maggioranza parlamentare per restare in sella e comandare: se non otterrà una maggioranza il 30 giugno, scatterà il meccanismo costituzionale della coabitazione. A un presidente di un colore politico si affiancherà un primo ministro di un altro, ma che sarà nominato da Macron e dovrà godere della sua fiducia. È già successo più volte nella recente storia francese, l'ultima volta al gollista Jacques Chirac con il socialista Lionel Jospin, e in precedenza ben due volte al presidente socialista François Mitterrand.

È chiaro comunque che Macron è in declino.

La sua scommessa, comunque molto audace, è ora quella di chiedere ai francesi di tenere lontana la destra sovranista filorussa dal governo e di cercare per sé una maggioranza più ampia, atlantista. È un po' quel che ha fatto di recente il premier socialista spagnolo Sánchez: lui la sua scommessa contro la destra di Vox l'ha vinta, ma Macron sembra oggi assai meno popolare di Pedro il Bello.

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