I leader mondiali che si sono incontrarti al G20 di Antalya, in Turchia, hanno deciso di unire le forze per trovare una soluzione al conflitto siriano, lavorare a una transizione politica a Damasco, combattere il terrorismo dello Stato islamico che venerdì ha ucciso 128 persone a Parigi. In un documento firmato al termine del summit, i rappresentanti dei 20 Paesi più industrializzati del mondo hanno definito gli attacchi jihadisti contro la capitale francese «un affronto inaccettabile all'umanità». «L'Isis è il volto del diavolo. Dobbiamo distruggerlo», ha detto il presidente americano Barack Obama da Antalya, che ha spiegato anche che l'America intensificherà la campagna di bombardamenti aerei contro le postazioni jihadiste. «Siamo uniti di fronte alla minaccia dell'Isis, e abbiamo raggiunto un nuovo accordo per semplificare la condivisione di informazioni di intelligence e militare con la Francia per prevenire nuovi attacchi». I leader hanno infatti discusso per due giorni di come attivare un maggior coordinamento a livello di servizi segreti nazionali per arginare l'attività di gruppi terroristici e limitare il movimento dei combattenti stranieri da e per la Siria. C'è unità tra Stati Uniti, Unione europea e i loro alleati in Medio Oriente, la Turchia e i potentati arabi sunniti del Golfo, su un altro punto: il presidente Bashar El Assad non deve fare parte di una transizione politica, in cui l'occidente sembra avere intenzione di voler svolgere un ruolo attivo, a differenza di quanto accaduto nel 2011 dopo l'operazione militare in Libia. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha accusato ieri Assad d'aver «massacrato il proprio popolo»: «Non c'è posto per lui nel futuro della Siria». Il suo ministro degli Esteri, Feridun Sinirlioglu, ha dichiarato che il presidente siriano «non parteciperà alle elezioni» che si dovrebbero tenere dopo la transizione, evocate in un piano stilato a Vienna sabato da diversi Paesi coinvolti direttamente e indirettamente nel conflitto. Nelle parole del ministro turco si profila una exit strategy sulla quale a lungo ci sono stati in questi mesi scontri tra le diplomazie internazionali. Come ha detto il primo ministro britannico David Cameron ieri «restano differenze molto grandi». Sono le stesse emerse sabato dopo l'incontro tra i rappresentati di 17 Paesi che hanno annunciato da Vienna d'aver adottato una sorta di road map per la Siria: una nuova Costituzione entro sei mesi. E tra 18 mesi «elezioni libere». Il primo quesito sulla fattibilità del progetto sta nelle divisioni esistenti tra i due fronti diplomatici e militari (russi e iraniani sostenitori del regime siriano, americani e alleati arabi sunniti e occidentali) che non sono d'accordo sulla lista dei possibili gruppi ribelli e d'opposizione da ritenere «legittimi» o «terroristi». Poi, c'è il divario sulle sorti di Assad, che non è neppure menzionato nel documento di Vienna.
Le dichiarazioni di ieri della Turchia aprono un nuovo scenario, anche se l'alleato della Russia, l'Iran, continua a restare sulle sue posizioni: «Assad è il legittimo presidente della Siria. Sono liberi di pensare ciò che credono, ma alla fine del processo politico non possono dire se debba partecipare alle elezioni o no», ha detto il viceministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdullahian.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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