È stato giusto costringere Piercamillo Davigo a lasciare, insieme alla toga, anche il Consiglio superiore della magistratura: ma la stagione del «populismo giudiziario» non finisce con lui. Per Loredana Miccichè, giudice di Cassazione e membro del Csm, intanto però è stato compiuto un danno irreparabile: consentire a Davigo di partecipare al processo-lampo a Luca Palamara, ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati, «getta un'ombra sull'intera vicenda».
Che un magistrato in pensione continuasse a fare parte del Csm era chiaramente una assurdità. Eppure a difesa della posizione di Davigo si sono mossi in tanti...
«Le resistenze era ovvio che ci fossero vista la figura storica e l'importanza del personaggio. Ma sul piano tecnico e giuridico la questione era già stata chiarita da una sentenza del Consiglio di Stato. La soluzione naturale era fin dall'inizio che Davigo andando in pensione lasciasse anche il Csm».
Però per fare passare questa linea si sono dovuti muovere il presidente e il procuratore generale della Cassazione, senza il loro voto Davigo rischiava di farcela.
«Vista l'importanza della decisione, è stato giusto che i massimi gradi della magistratura facessero sentire la loro voce. Quello che fatico a capire è stato il comportamento di Area (la corrente delle toghe di sinistra, ndr): prima erano schierati compattamente a difesa di Davigo, e non mi stupiva, perché negli ultimi tempi si erano spesso alleati con lui. Poi lunedì al momento del voto si sono spaccati a metà e tre di loro si sono astenuti. Una marcia indietro che non ho compreso e che pecca di coerenza».
Con l'uscita di scena di Davigo finisce la stagione del populismo giudiziario?
«Lui era una figura carismatica, ma il populismo giudiziario è lo specchio di una tendenza generale del paese che si riflette anche sulla giustizia e la investe come il resto della società».
Adesso che Davigo è out, ritiene che sia stato opportuno consentirgli di partecipare, come ultimo atto della sua carriera, a una decisione delicata come il procedimento disciplinare a Luca Palamara e alla sua espulsione dalla magistratura?
«Di fronte alla delicatezza e all'importanza della vicenda Palamara, andava evitata qualunque decisione in grado di gettare un'ombra sulla sua gestione. E credo che consentire a Davigo di celebrare il processo a Palamara non sia stata affatto una scelta condivisibile».
Però Davigo fino a quel momento era in carica a tutti gli effetti.
«Sì ma ha potuto partecipare al processo a Palamara solo perché il processo è stato celebrato in poco tempo. Era giusto che si facesse un processo come tutti gli altri, farlo così rapidamente prima che Davigo andasse in pensione non ha aiutato una gestione serena della vicenda. La natura del processo, la sua importanza per tutta la magistratura avrebbero consigliato di celebrarlo in tempi più lunghi per non gettare un'ombra».
Palamara ha pagato per tutti?
«Palamara è stato espulso per un fatto specifico: avere discusso della nomina della Procura di Roma con un politico indagato da quella Procura. Dopodiché, è venuto fuori il contesto più ampio, si è disvelato un sistema delle correnti e delle spartizioni dei posti che non ha dato una bella immagine della magistratura. Questo sistema esisteva, Palamara ne è stato un protagonista ma non l'ha inventato lui. Un sistema malato: ma non credo avesse rilevanza disciplinare».
Il sistema «esisteva»? È sicura di poterne parlare al passato?
«Io posso
parlare per me stessa e per la mia corrente, Magistratura Indipendente: faccio parte della commissione incarichi direttivi del Csm, e in questo anno e mezzo non ho fatto alcuna spartizione di cariche. Intendo continuare così».
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