
A casa. Scarcerato Ernesto Fazzalari, 54 anni, per vent'anni il latitante più ricercato, e spietato, dopo Matteo Messina Denaro. Arrestato nel 2016, Fazzalari viene condannato all'ergastolo per una serie infinita di omicidi, per poi ottenere una riduzione di pena in appello a 30 anni.
Malato terminale, per ben tre volte il Tribunale di Bologna prima, quello de L'Aquila dopo, rigettano la richiesta di arresti domiciliari. Fino a quando la Cassazione, accogliendo i ricorsi del suo legale, l'avvocato Antonio Napoli, le annulla in seguito al suo trasferimento presso il centro diagnostico e terapeutico del carcere di Parma. Divorato da un adenocarcinoma al pancreas, per gli ermellini la detenzione del boss non è compatibile con il regime carcerario. Tanto più con il carcere «duro», ovvero il 41 bis dov'è detenuto da nove anni. È il Tribunale di sorveglianza di Bologna a firmare l'ordinanza di scarcerazione.
Più di un terzo della sua vita Fazzalari la trascorre come un fantasma, nascosto in Aspromonte per sfuggire alla cattura. Che avviene la notte del 26 giugno 2016, quando i carabinieri di Reggio Calabria fanno irruzione in un casolare di Molochio, vicino casa, dov'è rifugiato assieme alla sua donna. Fazzalari verrà ricordato soprattutto come il protagonista indiscusso della faida di Taurianova, 32 morti ammazzati in 4 anni, una guerra fra le ndrine più potenti e feroci mai esistite in Calabria. Nel 1991, a soli 22 anni, assieme a Marcello Viola e a Pasquale Zagari uccide i capi di una famiglia nemica, Giovanni e Giuseppe Grimaldi del clan Asciutto-Neri. Li ammazzano a colpi di pistola per poi decapitare il secondo con un machete e usare la sua testa per il tiro al volo, in piazza, noncuranti della presenza di una ventina di persone. A Fazzalari, però, non basta per dimostrare a tutti il suo potere e quello della famiglia cui è affiliato e arruolato come killer. Passano pochi giorni e, travestendosi da carabiniere, s'intrufola fra i parenti in lutto e uccide il 24enne Roberto Grimaldi, ferendo la sorella Rosita di 14 anni. Un bagno di sangue passato alla storia come la strage del Venerdì Santo del 1991. Segue una pax mafiosa decisa dai vertici della ndrangheta nel supercarcere di Palmi. Nel 1996 diventa definitivamente uccel di bosco, accusato di numerosi omicidi, traffico di droga, associazione a delinquere di stampo mafioso, rapina, armi. Con il fratello Domenico e il cugino Salvatore, il boss resta uno dei massimi esponenti della cosca Avignone-Zagari-Viola.
Nel 2004 il suo nome viene inserito fra i latitanti più pericolosi d'Europa.
Fino a quando, con «un'operazione da manuale», come la definì il comandante generale dell'Arma, viene catturato e rinchiuso al 41 bis nel carcere di Parma. Fine pena mai, almeno fino a quando il Tribunale di Reggio Calabria non riduce la detenzione a 30 anni. Adesso è fuori.
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