Un upgrade così non si era mai visto. Da profeta di un mondo tutto lustrini e paillettes a guru dell'analisi politica e imprevedibile accusatore del governo Meloni. Solo nel 2021 il Fatto Quotidiano, che non lo sopportava, titolava: «Briatore frigna», dove il verbo frignare equivaleva già a una squalifica morale, anzi antropologica contro un imprenditore che andava contro tutto il politically correct possibile e non predicava la solidarietà ma semmai il successo, i soldi, la bella vita. E via a raccontare, con la penna intinta nel sarcasmo, i frigni di Briatore contro i soprusi subiti nella saga del Force Blue, lo yacht sequestrato, anzi confiscato per una presunta evasione fiscale. «Briatore frigna - notava il Fatto - ma sembra avere un'amnesia. Nel 2018, cioè poco prima della seconda sentenza d'appello sul Force Blue, il suo commercialista Andrea Parolini viene arrestato per aver provato a corrompere il direttore provinciale dell'Agenzia delle entrate di Genova».
E avanti, con una giostra di nomi, supposizioni, trame più o meno oblique.
Oggi si cambia registro e il Flavio nazionale, da sempre bollato come amico della Santanchè, dunque per dirla con Bertolt Brecht seduto dalla parte del torto, sale in cattedra in un'intervista a Antonello Caporale per bacchettare l'esecutivo di centrodestra che dovrebbe essergli più o meno simpatico e invece no. È l'opposizione che non ti aspetti: «Mi deludono - attacca Briatore ruvido come nel suo stile - quei tanti parolai perché danno l'impressione di non azzeccarne una».
E ancora, riferendosi al presidente del Senato Ignazio La Russa e alla polemica sulla bomba di via Rasella: «Parlano di cose che non interessano per buttare la palla in tribuna. Parli di quel che è successo ieri? Fascismo eccetera, ma dai».
Infine, sui miliardi dell'Europa: «Noi sul Pnrr stiamo per fare una ciclopica figura di m.. se, come leggo, rimandiamo indietro i soldi».
Che svolta. Non per lui, che con il suo pragmatismo ha sempre distribuito scappellotti antiideologici, senza curarsi troppo di bandiere e bandierine, ma per il giornale di Marco Travaglio che gli aveva sempre fatto le pulci, se non il verso e un paio di giorni fa ricamava perfido sull'outfit del figlio Nathan Falco che per festeggiare una pagella senza sbavature aveva indossato delle eccentriche e sgargianti pantofole turchesi di Louis Vuitton dal sobrio prezzo di 540 euro.
Perfettamente in linea con la filosofia del padre, sempre sotto i riflettori, sempre pronto a stupire, sempre magnetico nel catturare consensi e disprezzo.
Il Fatto invece non si stupiva di approfondire questa figura da villaggio berlusconiano, ottimismo feroce e competività darwiniana, scrutandone lati oscuri e presunti peccati. Cominciando dalle origini misteriose, se non tenebrose: «Gli sembra - indaga Gianni Barbacetto nell'ormai lontano 2009 - di aver fatto un bel salto quando», a Cuneo, la sua città, «diventa assistente di Attilio Dutto che fra l'altro aveva rilevato la Paramatti Vernici, una ex azienda di Michele Sindona. Ma alle otto di un mattino di fine anni Settanta, Dutto salta in aria insieme alla sua auto: gran finale libanese per un piccolo uomo d'affari cuneese».
Insomma, per il Fatto c'erano ombre nel passato di Briatore, e poi contatti scivolosi e in agenda numeri di telefono di personaggi dai cognomi ingombranti, perché legati alla mafia.
Pazienza. Nulla è perdonato, ma tutto è dimenticato, anzi amnistiato nel segno dell'attacco al governo Meloni. Il network delle relazioni pericolose non c'è più, come è sparita la storia infinita del Force Blue che peraltro si è conclusa con l'assoluzione di Briatore e con la beffa finale che lo Stato, per una volta rapido come un felino, aveva già venduto lo yacht, simbolo di un'opulenza che andava in qualche modo punita.
Adesso
il giornale sdogana le risposte taglienti del patron del Billionaire che prima era considerato il simbolo di un'Italia furbastra e riccastra. Ma per oggi, con quelle bordate che paiono quasi un fuoco amico, va bene così.
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