«Non c'era una sola ombra nella vita di Stefano Savi»: Maria Josè Falcicchia è la dirigente dell'ufficio prevenzione generale della Questura di Milano che fin dalla notte tra il 1 e il 2 novembre ha investigato sull'aggressione con l'acido ai danni del 25enne. Ieri, comparsa come testimone davanti ai giudici dell'XI sezione penale nella prima udienza del processo a carico di Alexander Boettcher, ha ripetuto più volte questo concetto. Come a dire che l'unica vera ombra sulla vita di Stefano è stata gettata quella notte, quando il ragazzo, rientrando da una serata in discoteca, è sceso dall'auto per aprire il cancello del parcheggio di casa ed è stato preso in pieno da una secchiata di liquido corrosivo. Lanciata, secondo l'accusa, da Martina Levato, che agì assieme ad Alexander Boettcher e al terzo complice, il dipendente di banca Andrea Magnani. Le indagini su quell'agguato, all'inizio, non riuscivano a trovare un canale: Stefano era un tranquillo studente dell'università Bicocca. Senza nemici, senza problemi. Idem i suoi familiari. La svolta, ha raccontato la dirigente, è arrivata quando questa brutta storia è stata legata alle altre aggressioni, simili per modalità, contro Pietro Barbini (per cui Alex e Martina sono stati condannati a 14 anni con rito abbreviato) e Giuliano Carparelli, il fotografo che aveva avuto un rapporto con Martina durante una serata ad alto tasso alcolico in una discoteca milanese. Era lui, Giuliano, la vittima designata della «coppia dell'acido», secondo l'accusa. Coinvolto infatti in un altro blitz, 14 giorni dopo, da cui uscirà indenne perché pioveva forte e l'apertura dell'ombrello lo riparerà dal getto dell'acido. Stefano, ha ribadito l'investigatrice, è stato «vittima di un errore di persona». Lo studente di economia ha avuto «la sfortuna di frequentare gli stessi locali che frequentava anche Carparelli». Il resto lo avrebbero fatto la somiglianza nei tratti esteriori - altezza e colori simili - e il buio.
Ieri Stefano Savi, reduce da parecchi interventi, ha deciso di essere presente in aula. Cappellino in testa e felpa, ha scelto di guardare in faccia uno dei suoi aggressori. A separarlo da Boettcher - sguardo sempre vigile ma imperturbabile - solo le sbarre della gabbia. I legali del broker detenuto hanno chiesto che gli fosse concesso di sedersi al banco degli imputati: richiesta negata dai giudici, dopo l'opposizione del pm Fabio Musso, «data la situazione logistica dell'aula particolarmente affollata, e stante la presenza delle vittime delle aggressioni». Tra queste anche Antonio Margarito, scampato a un tentativo di evirazione da parte di Martina. Nell'udienza di ieri Margarito ha deposto per secondo, ripercorrendo l'aggressione contro di lui, stavolta con un coltello, il 19 maggio 2014: «Dopo avevo paura di uscire di casa, temevo di poter essere ancora ferito». Per quella serata Martina lo aveva denunciò per violenza sessuale, ma pochi giorni fa il gip Gennari ha archiviato l'accusa: non ci fu violenza, semmai è Martina che mente.
Stefano è rimasto pochi minuti in aula. È uscito perché nelle prossime udienze dovrà deporre, non può ascoltare gli altri testimoni. «È stata una sua scelta venire qui in aula, la scelta di un ragazzo coraggioso. È molto sereno e confida nella magistratura e nelle decisioni che verranno prese», spiegano gli avvocati.
Levato e Magnani hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato, ma i tre, sostiene l'accusa, formavano «una vera e propria associazione, con tanto di organizzazione, basi logistiche e mezzi economici». Nella quale Boettcher era «il regista» e Magnani «un soldato agli ordini del generale».Twitter @giulianadevivo
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