Le «tricoteuses» che stasera, a mercati chiusi, vorrebbero veder calare la ghigliottina di Standard&Poor's sul rating dell'Italia, rimarranno deluse. Roma manterrà la tripla B, due gradini sopra il temuto livello «spazzatura» (junk), conservando così lo status di «investment grade», il requisito fondamentale per evitare l'estromissione del nostro debito pubblico dai portafogli degli investitori istituzionali e, soprattutto, la contestuale esplosione dei differenziali di rendimento e dei tassi pagati sui titoli di Stato. Quella di S&P sarà una scelta saggia, motivata non solo dai fondamentali italiani, ma anche da una congiuntura in deterioramento ovunque e fragilizzata ulteriormente da una situazione geo-politica incancrenitasi con lo scoppio della guerra fra Israele e Hamas.
In tempi come questi, il senso di responsabilità dovrebbe essere il primo utensile da tirar fuori dalla cassetta degli attrezzi. Resta da vedere se verrà usato da Moody's, che si pronuncerà il prossimo primo novembre dopo aver già minacciato un declassamento del rating tricolore, ora a un solo «notch» dal bollino nero che indica scarsa affidabilità creditizia. In teoria, nessuno dovrebbe desiderare che la tempesta perfetta che si è già scatenata sul versante bellico si estenda anche al mondo economico-finanziario. Alle tossine da Covid non ancora smaltite, se ne sono aggiunte di nuove con l'inflazione che ha portato le banche centrali a caricare a testa bassa il muro del carovita con l'ariete dei tassi. In Italia, dove latita il senso di appartenenza collettivo, prevale invece il tifo, quello che spera che la palla di neve si trasformi in valanga, quello della «torcida» di chi espone gli striscioni con la scritta «Forza Spread» e tiene la foto di Mario Monti sul comodino. Il livore anti-governativo fa premio su tutto e bolla come sprecona una manovra finanziaria varata col bilancino del farmacista, mentre negli Stati Uniti, dove un accordicchio ha sistemato il tetto del debito e il titolo a 10 anni sfiora ormai il 5%, non si assiste allo stesso accanimento che si vede dalle nostre parti. Eppure, per quanto il dollaro sia ancora la valuta di riserva mondiale, l'allargamento dei Brics e la Cina venditrice netta di Treasury a stelle e strisce dovrebbero creare qualche allarme in un Paese il cui debito è sopra i 32.650 miliardi di dollari e rappresenta il 124% del Prodotto interno lordo.
Ieri, sulla base dei programmi di bilancio nazionali, il Sole 24 Ore sparava in prima pagina: «Pil, nel 2024 in Italia la crescita più bassa di tutta l'Eurozona». Ecco così che la cautela si fa colpa. «La previsione prudente del Pil è l'esatta conferma dell'approccio prudente, serio e responsabile ribadito in ogni sede dal ministro dell'Economia e Finanze Giancarlo Giorgetti», la replica in una nota del Mef.
A voler pensar male, saranno forse serie e responsabili le stime della Francia, oppure quelle del Belgio? O, meglio ancora, quelle della Germania in recessione, già pizzicata con le mani nella marmellata per aver truccato i conti, pronta a gonfiare il Pil con gli aiuti di Stato e impuntata su una riscrittura severa del Patto di stabilità, quando sarebbe invece meglio sospenderne le regole per un altro anno? È proprio vero: l'erba del vicino è sempre più verde. Anche se cresce grazie ai pesticidi.
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