"Il fatto non sussiste": Salvini assolto da tutto. Macché sequestratore: si sbriciola il teorema

La sentenza chiude la vicenda della nave Open Arms. L'accusa aveva chiesto sei anni

L’arrivo di Matteo Salvini nell’aula bunker del tribunale Pagliarelli di Palermo
L’arrivo di Matteo Salvini nell’aula bunker del tribunale Pagliarelli di Palermo
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Assolto dall'accusa di sequestro di persona e di rifiuto di atti d'ufficio, perché «il fatto non sussiste». Alle 19.30, dopo quasi otto ore di camera di consiglio, Matteo Salvini ascolta, in piedi, la sentenza della seconda sezione penale del tribunale di Palermo nell'aula bunker del Pagliarelli, accanto al suo avvocato Giulia Bongiorno. La tensione di una giornata lunghissima, culmine di tre anni di processo e 24 udienze, si scioglie nell'abbraccio della vittoria con colei che l'ha difeso. E poi un altro, lunghissimo, con la compagna Francesca Verdini.

I pm avevano chiesto per lui sei anni di reclusione, per aver negato, quando era ministro dell'Interno nell'agosto del 2019, un porto di sbarco alla nave della ong spagnola Open Arms che aveva a bordo 147 migranti, rimasti in attesa per giorni, secondo la Procura «privandoli della loro libertà personale senza alcuna apprezzabile ragione». Da qui l'accusa di sequestro che oggi si sgretola completamente nel giudizio di primo grado. «Sono felice, dopo tre anni ha vinto il buon senso, ha vinto il concetto che difendere confini non è un reato ma un diritto - commenta lui subito dopo - Questa sentenza non assolve solo Matteo Salvini ma un'idea di Paese: entrare in Italia prevede regole e limiti e chi usa migranti per fare battaglia politica ha perso, e oggi torna in Spagna con le mani in saccoccia. È una bellissima giornata per l'Italia». È l'avvocato Bongiorno a sottolineare che la formula assolutoria scelta dai giudici di Palermo «è quella più piena. Non sussiste alcun reato. Non è una sentenza contro i migranti, ma contro chi sfrutta i migranti».

Fino a pochi minuti prima della lettura del dispositivo circolava con insistenza la previsione di una condanna più leggera, magari con una derubricazione a un reato più lieve. Invece l'assoluzione «è senza ma, se o però», ribadisce la legale. Una vittoria su tutta la linea che chiude lo scontro con le toghe.

Il giorno della verità giudiziaria sulle scelte che Salvini ha sempre rivendicato aver fatto in nome delle politiche del governo, era iniziata alle dieci di mattina con un ultimo rapido confronto tra accusa e difesa, prima del ritiro dei giudici in camera di consiglio. Qui il procuratore aggiunto Marzia Sabella, ribadisce la richiesta di condanna: «In questo processo si discute della libertà di un gruppo di persone, libertà che fu privata impedendo lo sbarco. Non c'erano ragioni per non farli sbarcare». L'avvocato Bongiorno interviene con una controreplica durissima. Prima si rivolge alla procura, che «illumina singoli dettagli oscurando il senso generale». E poi attacca la ong come responsabile del mancato sbarco dei migranti: «Sono stati trattenuti sulla nave dagli attivisti della Open Arms», dice la legale, ricordando che «bastava segnalare il disagio per scendere dalla nave. Perché la ong non li fece scendere?».

Non lo fece «scientificamente, anche per creare un problema a quello che considera un avversario politico». «Una condanna - conclude - legittimerebbe una gravissima strumentalizzazione dei migranti per combattere i ministri non graditi a una certa parte politica». L'impianto accusatorio non ha retto.

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