Definirlo solo un ginecologo sarebbe riduttivo. Forse, sarebbe più corretto parlare di un maestro se il vocabolo non fosse divisivo sulle frontiere dei cosiddetti nuovi diritti: dall'aborto alla fecondazione eterologa. Carlo Flamigni, morto all'età di 87 anni, era più compiutamente uno scienziato da prima linea. Innovatore & divulgatore: studiava, firmava pubblicazioni su pubblicazioni affrontando questo o quel tema, poi distillava in una frase pillole di saggezza progressista, oggi si direbbe liberal, destinate a suscitare standing ovation da una parte e anatemi dall'altra.
Un giorno, nel 2014, osservando lo scontro davanti al Policlinico Sant'Orsola di Bologna fra un gruppetto di cattolici che pregavano contro l'aborto e le femministe che intonavano Bella ciao, il professore se ne uscì con un giudizio molto acuminato e offensivo per la sensibilità di chi non la pensava come lui: «Quelle preghiere sono espressione di una chiesa medioevale. Le femministe reagiscono a una provocazione cattiva che umilia le donne». Così. Tranchant. Come il profeta di un nuovo ordine imbevuto nel fonte battesimale di un neopositivismo tutto ottimismo. «Dietro a un aborto - aggiunse a Repubblica - c'è sofferenza. É una scelta complicata. Ricordo le donne a testa bassa che non vogliono essere viste. Chiedo a chi recita le preghiere dove è la loro compassione, di considerare queste donne, vittime di fidanzati imprudenti, di mancanza di educazione. Dietro c'è l'egoismo, l'ignoranza, l'indolenza degli uomini».
Questo era Flamigni: il bisturi era la bacchetta magica di una nuova era che faceva a pezzi millenni di tradizione, di morale, di religione. E prospettava un'epoca in cui le donne, affrancate dalla condizione subalterna, avrebbero potuto scegliere quale strada prendere ai confini della vita.
Esattamente come poi è avvenuto, nel nome del femminismo e della contemporaneità, anche se non è affatto detto che tutto sia andato per il meglio. Anzi. L'aborto è diventato nei fatti quasi uno strumento di contraccezione, la sofferenza si è mischiata ad altri stati d'animo, non sempre così drammatici, soprattutto la natalità, non più difesa come prima, è crollata aprendo un buco nella società e generando problemi giganteschi. Più grandi di quelli che dovevano essere risolti. Come è successo anche ad altri generosi pionieri, Flamigni ha coltivato il mito di un nuovo umanesimo, senza accorgersi che così, pur collezionando vittorie su vittorie, la società sarebbe andata a sbattere.
Ma lui è andato avanti imperterrito. Fino alla fine. «Che rabbia» esclamó davanti alle titubanze della Regione Emilia nell'imboccare la via dell'eterologa, suo cavallo di battaglia. Nessun dubbio etico scuoteva queste certezze: «Non conta la genetica, conta chi cresce il bambino». E ancora, convinto di vedere più in là, affermava con una certa temerarietà: «Le regole morali di oggi non sono uguali a quelle di ieri. E in futuro saranno ancora diverse. Non c'è una morale scritta. Ma è dettata dal senso comune. Che si modifica come la scienza. Oggi sta arrivando l'utero artificiale».
Insomma, per tutta la vita, Flamigni non ha mai perso quell'immagine di camice bianco militante, immerso nella sua missione e poi nei libri, nella docenza, nelle battaglie civili che hanno segnato più di una generazione.
Il ginecologo, in realtà un intellettuale, lascia uno stuolo di ammiratori. Ma anche una serie di previsioni stonate. Perché il perimetro dell'uomo è più grande di quello che aveva identificato e circoscritto. Operando una riduzione, quella sì dalle conseguenze disastrose.
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