Aveva denunciato il suo stalker un mese prima di essere uccisa, Alessandra Matteuzzi. Ma trenta giorni dopo il provvedimento restrittivo l'ex compagno Giovanni Padovani l'ha aspettata sotto casa per ore, prima di massacrarla a colpi di mazza e martello. Poche ore dopo il femminicidio di Bologna, le particolari circostanze del caso accendono un campanello d'allarme anche nelle stanze di via Arenula, tanto che ieri la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha chiesto agli uffici dell'Ispettorato di «svolgere con urgenza i necessari accertamenti preliminari, formulando, all'esito, valutazioni e proposte». Nel mirino ci sono proprio le effettive indagini successive alla denuncia della 56enne, oltre all'attivazione di eventuali misure cautelari: «La denuncia è stata accolta a fine luglio, il primo agosto è stata immediatamente iscritta e subito sono state attivate le indagini che non potevano concludersi prima del 29 agosto perché alcune persone da sentire erano in ferie. Noi quello che potevamo fare lo abbiamo fatto. In questa vicenda non si può parlare di mala giustizia». A parlare è il procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato, che aggiunge: «Dalla denuncia della vittima non emergevano situazioni di rischio concreto di violenza, era la tipica condotta di stalkeraggio molesto». Ma perché per Padovani non si è ricorso al braccialetto elettronico? «Il vero problema è quello dei costi - aggiunge Amato ai microfoni di Radio 1 - perché già oggi i braccialetti elettronici non si trovano, anche quando potremmo usarli per alcuni reati. Serve la norma ma anche gli strumenti economici per farla funzionare».
E mentre gli interrogativi si susseguono, ieri un vero e proprio pellegrinaggio composto da amici, parenti, conoscenti e da semplici cittadini bolognesi ha fatto capolino sul luogo del massacro in via dell'Arcoveggio per dare un ultimo, ideale, saluto ad Alessandra. Mazzi di fiori e biglietti adornano il piccolo portico dove martedì sera è avvenuto l'omicidio e che nel frattempo è stato ripulito dalle macchie di sangue, mentre ancora manca la panchina sulla quale la donna è stata ammazzata, rimossa dalla polizia subito dopo il massacro. Le testimonianze raccolte nelle scorse ore delineano la doppia vita di Giovanni Padovani (difensore in serie D e modello, con un passato nelle giovanili del Napoli di Cavani e nella nazionale italiana under-17): a Senigallia, sua città d'origine, chi conosce il 27enne lo descrive come «un tipo tranquillo, si dava qualche aria ma parlava sempre di calcio. Diceva di aver trovato la donna della sua vita, l'aveva portata anche qui al mare»; le parole dei vicini di Alessandra raccontano invece di una persona che minacciava, pedinava e tendeva agguati alla sua ex. Gli inquirenti hanno scovato un messaggio pubblicato sul profilo Instagram del calciatore riferito alla donna: «Inizio la giornata con te nella mia mente e finisco con te nei miei sogni». Era il 23 settembre del 2021. Meno di un anno dopo, i sogni di lui sono diventati gli incubi di lei. Ma a lasciare esterrefatti è quel post in cui l'uomo compare addirittura come testimonial di una campagna contro la violenza sulle donne: «No alla violenza, Respect», scriveva.
Per Giovanni Padovani, ora accusato di omicidio aggravato dallo stalking, il pm Domenico Ambrosino ha chiesto la convalida dell'arresto e la custodia cautelare in carcere. L'udienza è fissata per questa mattina davanti al Gip Andrea Salvatore Romito, mentre nel pomeriggio si svolgerà l'autopsia sul corpo di Alessandra.
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