Figli e affido, tutti i dubbi sulla riforma del diritto di famiglia

Il senatore Pillon è in procinto di proporre una riforma del diritto di famiglia centrata essenzialmente in tre punti

Figli e affido, tutti i dubbi sulla riforma del diritto di famiglia

Il senatore Pillon è in procinto di proporre una riforma del diritto di famiglia centrata essenzialmente in tre punti: tempi paritetici fra madre e padre con la prole, doppia residenza dei minori ed eliminazione sostanziale dell'assegno di mantenimento in favore di un sistema di contribuzione diretta da parte di ciascun genitore.

La relazione accompagnatoria al Ddl enuncia pomposamente l'intenzione di rimettere «al centro la famiglia e i genitori e soprattutto restituendo in ogni occasione possibile ai genitori il diritto di decidere sul futuro dei loro figli». Parole che suonano come la riscoperta del fuoco in un diritto di famiglia che, già dal 2006, ha sancito il principio della bigenitorialità e dell'affido condiviso quale regime ordinario, già includendo la possibilità del «mantenimento diretto» e impostando gli strumenti per realizzare quella parità che la proposta vorrebbe introdurre come un'innovazione epocale. Siamo di fronte a un tentativo di spostare l'asse delle decisioni a tutela dei padri con una riforma pro uomo che riequilibri quelle decisioni che, troppo spesso, mortificano la bigenitorialità e privilegiano le madri. Nulla di scandaloso nelle intenzioni di Pillon, lastricate di un principio di verità: ogni operatore del diritto di famiglia sa bene come «gira il fumo» nei tribunali, soprattutto quelli di provincia che vedono nella mamma il principale riferimento della prole, riducendo i papà a meri bancomat.

E tuttavia mi chiedo se il nuovo intervento legislativo sia corretto laddove già la legge e la giurisprudenza sono orientati a un sistema di parità e il problema è solo l'applicazione concreta e l'interpretazione omogenea da parte dei giudici. Non può non essere considerato che vi sia una maggioranza di padri amorevoli e disposti a farsi carico dei figli, contrapposta a una realtà di uomini che non possono o vogliono assumersi le stesse responsabilità.

Ma soprattutto: si è pensato anche ai figli, al solito stritolati nell'annosa contesa di uomini contro donne? Non è l'interesse del bambino quello che deve prevalere? Anni di neuropsichiatria infantile hanno rilevato lo spaesamento di minori rimbalzati fra madri e padri con tempi troppo paritetici e oggi si vorrebbe imporre addirittura un numero di pernotti minimi mensili? Ed è iniqua l'eliminazione del contributo al mantenimento dei figli, misura già prevista e applicata ma solo nelle situazioni in cui vi sia già una sostanziale parità di tempi di permanenza della prole con i genitori e una equivalenza di redditi. e patrimoni. E dunque un mantenimento «diretto» dei figli secondo i tempi di rispettiva spettanza umilierebbe quelle madri (in genere) che non hanno le disponibilità economiche dei mariti e non potrebbero garantire ai figli un tenore di vita omogeneo all'ex coniuge più danaroso.

Siamo dunque in presenza di una riforma che pretende di uniformare situazioni che possono essere molto diverse senza dare adeguato spazio al potere d'intervento di un giudice che, piaccia o non piaccia, è l'unico baluardo verso un'ingiustizia istituzionalizzata.

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