Finisce il calvario del manager di Fastweb. Rossetti risarcito per ingiusta detenzione

Scontò 366 giorni per un presunto maxi-riciclaggio a cui era totalmente estraneo

Finisce il calvario del manager di Fastweb. Rossetti risarcito per ingiusta detenzione
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Il tempo sa essere galantuomo, ma i tempi della giustizia sono talmente lunghi da sfibrare chi la giustizia la deve attendere. Come Mario Rossetti, che da direttore finanziario di Fastweb venne svegliato all'alba di un giorno di febbraio di 13 anni fa dagli uomini delle Fiamme gialle. Rossetti si ritrova tra le mani un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per una storia di maxiriciclaggio della quale non sa nulla, finisce in caserma, poi a San Vittore e da lì a Rebibbia. Passa quattro mesi dietro le sbarre, poi quando viene scarcerato lo attendono altri otto mesi ai domiciliari. In tutto 366 giorni di libertà negata, per un reato, la presunta maxifrode da due miliardi di euro dell'inchiesta Fastweb-Telecom Italia Sparkle, al quale era del tutto estraneo. Rossetti per vedersi riconosciuta la propria innocenza dovrà attendere 150 udienze e due sentenze di assoluzione, dopo quasi otto anni di gogna mediatica e di graticola giudiziaria cancellati dalle sentenze, l'ultima delle quali nemmeno la procura decide più di impugnare. Rossetti torna libero, scrive un libro sulla sua odissea giudiziaria («Io non avevo l'avvocato», Mondadori), racconta le storture del sistema giustizia e la durezza del carcere, vissuto da innocente, con una moglie e tre figli che lo attendevano a casa, e quegli anni di attesa prima che l'errore giudiziario del quale è stato vittima venisse conclamato. E poi chiede un risarcimento per quei 366 lunghissimi giorni di privazione della libertà, per quella detenzione ingiusta che oltre a togliergli un pezzo di vita lo ha danneggiato anche economicamente. Così a settembre del 2021 l'ex manager e fondatore di Fastweb presenta la sua istanza alla corte d'appello di Roma, per chiudere una volta per tutte una dolorosa pagina di vita segnata da un clamoroso abbaglio del sistema giustizia. E la giustizia, dopo due anni, decide di riconoscere le sue ragioni. Ribadendo la mancanza di qualsiasi profilo di colpa, oltre che sottolineando le due assoluzioni incassate, e la totale inconsistenza delle accuse, i giudici romani sottolineano nella decisione come a rendere «verosimilmente molto più pesante la custodia sofferta» siano state «la notevole rilevanza mediatica della vicenda», «la presenza di procedimenti cautelari che bloccarono l'intero patrimonio» e «la presenza di una famiglia con tre bambini piccoli».

Un errore da riparare, insomma, anche se la cifra liquidata dalla corte d'Appello di Roma - intorno agli 80mila euro - non restituisce certo a Rossetti quel tempo rubato ai suoi affetti e al suo lavoro, l'umiliazione e il dolore di anni passati ad attendere giustizia.

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