Il fortino Fdi sui magistrati. Ma i ministri non affondano

Quattro ore di Direzione nazionale, si parla anche di Albania e Almasri. Polemica sui cinque giudici "migrati": prendono in giro il Parlamento

Arianna Meloni
Arianna Meloni
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Un po' l'assenza di Giorgia Meloni, un po' la voglia di non trasformare la direzione nazionale di Fdi in una chiamata alle armi contro la magistratura, le quasi quattro ore di riunione a porte chiuse nel centro congressi romano di via Alibert scorrono per certi versi stanche. Tra ministri, deputati, senatori, europarlamentari e dirigenti vari, sono oltre un centinaio i Fratelli che si ritrovano a due passi da piazza di Spagna per confrontarsi - recita l'ordine del giorno - sui primi due anni di governo Meloni e sul Sud. Apre i lavori il coordinatore Edmondo Cirielli, li chiude Arianna Meloni, responsabile della segreteria politica del partito. Che serra i ranghi e cita Il Signore degli Anelli di Tolkien: «Giorgia è il nostro Frodo, noi siamo la Compagnia dell'Anello, dobbiamo aiutarla nella fatica di portarlo senza mai indossarlo». Un intervento inizialmente non previsto, tanto che chi aveva treni o aerei in partenza era già andato via.

Aleggia, e non potrebbe essere altrimenti, il clima di tensione con la magistratura. Ma la premier alla fine ha deciso di non intervenire neanche telefonicamente (e c'è anche chi non nasconde un pizzico di delusione) e nessuno si prende la briga di alzare ulteriormente il tiro contro le toghe. Certo, la questione resta centrale, ma senza ulteriori strappi. Il ministro Francesco Lollobrigida, d'altra parte, nella sua relazione iniziale in qualità di capo-delegazione di Fdi nel governo dedica al tema un passaggio brevissimo. Il suo collega Nello Musumeci ribadisce invece che «nessun magistrato può pensare di sostituirsi alla politica». Mentre Adolfo Urso spiega che «non è un avviso di garanzia che può fermare il corso della storia». Il riferimento, ovviamente, è all'informazione di garanzia recapitata alla premier, al sottosegretario Alfredo Mantovano e ai ministri Carlo Nordio (Giustizia) e Matteo Piantedosi (Interno) per la vicenda relativa alla scarcerazione del generale libico Njeem Osama Almasri. A tutti e quattro esprime una «solidarietà vera e non di circostanza» il titolare degli Affari europei Tommaso Foti. Sulla vicenda torna anche Guido Crosetto. «Quando un governo si occupa della sicurezza nazionale o dell'interesse nazionale - dice il ministro - non può e non deve guardare alla convenienza politica, ma deve tutelare la nazione». E, dice invece Giovanni Donzelli, «mentre noi portiamo avanti con determinazione le promesse fatte agli italiani, c'è una sinistra nei giornali e nella magistratura» dove «qualcuno cercare di forzare la mano». Detto questo, assicura il responsabile organizzazione di Fdi, non c'è alcuna intenzione di organizzare una manifestazione di piazza contro le toghe.

I due fronti aperti, però, restano caldi. Oltre alla vicenda Almasri, infatti, ci sono i ripetuti stop dei giudici italiani ai trattenimenti dei migranti nei centri in Albania. Non a caso, Carlo Fidanza punta i riflettori sulla data del 25 febbraio, quando la Corte di giustizia europea si pronuncerà sulla questione dei cosiddetti «Paesi sicuri». Perché, spiega nel suo intervento il capo-delegazione di Fdi al Parlamento Ue, dovranno decidere se far valere la normativa comunitaria oppure creare le condizioni per cui in Ue non si può più procedere ai rimpatri. Sulla vicenda tornano anche Galeazzo Bignami e Lucio Malan, capigruppo di Camera e Senato, che accusano i magistrati di «prendere in giro il Parlamento», visto che «tutti e cinque giudici che hanno firmato il provvedimento» di venerdì scorso «sono migrati dal tribunale alla Corte d'Appello» subito dopo che le Camere hanno deciso per il trasferimento di competenze.

Insomma, nonostante l'intenzione sia quella di non accendere la miccia che fa deflagrare lo scontro con i magistrati, la tensione resta alta.

Rimanendo nell'allegoria tolkeniana, se Meloni è Frodo e Fdi la Compagnia dell'Anello che l'aiuta nell'impresa, sono settimane che potremmo identificare con Sauron, l'Oscuro signore di Mordor, quel «pezzo di magistratura» che «vuole governare» il Paese «senza candidarsi» e passare per le elezioni.

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