Israele combatte per la sua salvezza, nulla può fermarlo

L'attacco terrorista che sotto la cenere delle recenti sconfitte si rinfocola proprio sui rapiti, è sommerso da una marea di chiacchiere che hanno un solo cinico obiettivo: Netanyahu

Israele combatte per la sua salvezza, nulla può fermarlo
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Israele non ha nessuna altra scelta se non combattere questa guerra e rimettere in moto la restituzione degli ostaggi. Non ha potuto contare sul sostegno di nessuno, oggi il momento è buono per il sostegno americano, che prima non c'era. C'è invece il solito biasimo pieno di odio e di balle, la solita richiesta inconsulta di cessare il fuoco e prepararsi a farsi macellare. Da Hamas, Hezbollah e Iran, ma stavolta non accadrà. Si è imparato qualcosa il 7 ottobre anche sulla ripetitività del biasimo e del veleno che proviene dall'interno di Israele. Nell'ottobre '23 sui corpi ancora caldi dei bambini uccisi e delle donne stuprate e fatte a pezzi, il segretario dell'inutile organizzazione che è l'Onu chiese il cessate il fuoco. Adesso, di nuovo. La morte nei tunnel dei rapiti, la ricostruzione del potere di chi aveva assalito Israele e sacrifica di nuovo i suoi figli per preparare la nuova Shoah, non interessa quanto la coesione ideologica sul pacifismo autolesionista di un Occidente asservito a maggioranze in cui l'islam è determinante. Israele ha dovuto di nuovo attaccare Hamas pena la ricostruzione di tutto l'asse del male.

L'attacco terrorista che sotto la cenere delle recenti sconfitte si rinfocola proprio sui rapiti, è sommerso da una marea di chiacchiere che hanno un solo cinico obiettivo: Netanyahu. È addirittura interessante quanto l'odio per questo leader accenda una luce accecante su una realtà che si fa fatica a affrontare: quando sei a rischio di vita, ti devi difendere. Gli attacchi a Gaza hanno come primo scopo quello di rompere il rifiuto di Hamas a restituire gli ostaggi e allungare i tempi per irrobustirsi di nuovo. Ieri, coi missili, Hamas ha mandato di nuovo Tel Aviv nei bunker; dalla Giudea e dalla Samaria, centinaia di attacchi colpiscono ogni giorno. Le famiglie che protestano nelle strade temendo che lo scontro comporti un pericolo maggiore per i loro cari, hanno ragione nella loro angoscia. Ma l'obiettivo deve essere Hamas, non Netanyahu che ha ormai svolto mille trattative, tentato tutte le strade. Hamas non vuole. Lo stallo ha reso decisive la sue richieste, aprire la fase che finisce nella conclusione del conflitto restando al potere e godendosi le migliaia di prigionieri liberati senza dare niente in cambio, mentre ricostruisce armi, tunnel, uomini, il prossimo 7 ottobre. Bibi ha agito di sorpresa, sfidando l'opinione pubblica, e non è facile: chi dice lo fa per salvare il governo recuperando Ben Gvir, ignora che Netayahu ha già i voti per governare senza di lui. Chi poi sostiene che licenzia Ronen Bar perché indaga sul suo ufficio e i rapporti col Qatar, non sa che per quanto la magistratura odi il primo ministro, sia stato già escluso un suo coinvolgimento diretto in un'indagine che semmai viene a puntino proprio per Bar che, capo dei servizi segreti interni, lo Shin Bet, ha le responsabilità più immediate del 7 ottobre. Certo un'indagine politica e militare completa dovrà aver luogo presto; ma in democrazia esiste la differenza fra leader eletti e leader scelti dagli eletti, che devono rispondere a chi attua la nomina pena la cesura del rapporto. Se a Netanyahu non viene riconosciuto il potere di affrontare gli alti funzionari è perché il suo colore politico non è quello giusto.

Ma Israele combatte per la salvezza, ha imparato finalmente a farlo, e nessuna chiacchiera potrà fermarlo. Quanto al numero dei palestinesi uccisi, a parte che la fonte è Hamas, non uno sarebbe morto o morirebbe se Hamas avesse consegnato, o consegnasse, i rapiti.

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