Il via libera del Consiglio dei ministri alla norma sulle nuove concessioni per aumentare l'estrazione di gas che sarà inserita sotto forma di emendamento nel decreto aiuti ter contenente «misure urgenti in materia di politica energetica nazionale», segna un punto di svolta nella politica energetica italiana. L'obiettivo del governo è accelerare sulla trivellazione per far ripartire la produzione nazionale di gas rivedendo il cosiddetto Pitesai, il «piano trivelle», per rendere l'Italia più autonoma sul fronte del gas. Come ha spiegato il premier: «Il governo ha approvato un provvedimento per implementare la produzione di gas nazionale, a patto che venga destinato a prezzi accessibili alle aziende energivore italiane. Mettiamo così in sicurezza il tessuto produttivo e ci rendiamo più indipendenti dalle importazioni di gas». «Contestualmente ha spiegato Giorgia Meloni , abbiamo ribadito il nostro impegno in Europa per arrivare ad un corridoio dinamico dei prezzi del gas per limitare la volatilità dei prezzi e mettere in sicurezza le nostre industrie».
L'emendamento sulle trivelle prevede «il rilascio di nuove concessioni tra le 9 e le 12 miglia, in deroga al decreto legislativo del 2006 che invece precludeva nuove attività in materia di idrocarburi nelle aree marine protette e nelle 12 miglia da dette aree e dalla costa» con una deroga prevista solo per i siti caratterizzati da un elevato potenziale minerario. Come spiega il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin: «Potenzialmente si stima una quantità di 15 miliardi di metri cubi sfruttabili nell'arco di dieci anni» con vincoli di destinazione nazionale al 75% per i primi due anni e al 50% per i successivi otto. L'estrazione è prevista nel tratto di mare «tra il 45° parallelo e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po» e «con un prezzo concordato per le aziende gasivore da un minimo di 50 a un massimo di 100 euro per megawattora». Secondo le stime del già ministero della Transizione Ecologica, le riserve di gas definite «certe» in Italia ammontano a 39,8 miliardi di metri cubi, di cui la maggioranza si trova al Sud ma le trivelle sono sparse in 15 regioni e, secondo le stime di Assorisorse, nel 2021 l'Italia ha estratto 3,3 miliardi di metri cubi di metano, a fronte di un consumo di oltre 70 miliardi.
Nel nostro Paese la produzione di gas ha raggiunto il massimo nel 1994 quando copriva circa il 40% del fabbisogno nazionale toccando anche i 20 miliardi di metri cubi all'anno. Negli anni le estrazioni sono calate e siamo passati dai 9 miliardi del 2008 ai quasi 7 del 2015 arrivando a poco più di 3 lo scorso anno. In una situazione di crisi energetica come quella che stiamo vivendo, la scelta del governo non è solo una misura di buon senso ma necessaria, eppure non sono mancate le polemiche a partire dalle parole del presidente nazionale del Wwf Luciano Di Tizio: «Il governo Meloni dovrebbe fare quello che non hanno fatto i governi precedenti: scommettere sulle rinnovabili e cambiare l'approccio italiano al tema dell'energia, cosa che, negli ultimi anni, non è mai stata fatta con la giusta determinazione». Sulla stessa linea i Verdi che hanno accusato Giorgia Meloni di aver cambiato posizioni sulle trivelle. Ma c'è anche chi da sinistra giudica positivamente la scelta del governo come il sindaco di Ravenna del Pd Michele de Pascale: «Non ha alcun senso importare grandissimi quantitativi di gas da ogni angolo del mondo e non utilizzare quello che c'è nel nostro territorio e può essere estratto senza impatti ambientali».
Il punto è proprio questo: mentre Croazia, Albania, Montenegro, Grecia svolgono da anni trivellazioni, l'Italia aveva abbandonato una politica energetica sovrana nell'Adriatico, è tempo di recuperare. Ravenna vuole diventare un hub europeo dell'energia e domani sarà autorizzato il progetto per il rigassificatore ormeggiato al largo della costa.
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