Il gelo di Draghi inchioda Salvini: "Precedente grave. Ne prendo atto"

Imbarazzo di Giorgetti in Cdm: "Ci asteniamo per le ragioni che sapete". Speranza nel mirino

Il gelo di Draghi inchioda Salvini: "Precedente grave. Ne prendo atto"

Che non sarebbe finita bene lo si è iniziato a capire a metà giornata, quando Matteo Salvini ha inviato un sms a Mario Draghi per ribadirgli la richiesta di prorogare il coprifuoco dalle 22 alle 23. Non proprio un metodo ortodosso per relazionarsi con il capo dell'esecutivo, soprattutto dopo giorni in cui il leader della Lega batte senza sosta sul tasto delle aperture. Ma è per una questione di merito e non di metodo che ieri il premier ha perso il suo proverbiale aplomb. Nella riunione che precede il Consiglio dei ministri che di lì a poco approverà il decreto sulle riaperture, infatti, la delegazione del Carroccio guidata da Giancarlo Giorgetti non obietta più di tanto quando Draghi ribadisce l'intenzione di mantenere il coprifuoco alle 23, perché - spiega - «avevamo un accordo unanime» e «se tocchiamo l'impianto dell'intesa non c'è più un equilibrio». Vengono poi nuovamente esposte le ragioni di «necessaria prudenza», dettate dai numeri dei contagi ancora alti, e si esce dall'incontro con una sostanziale mediazione. Infine, prima dell'inizio del Cdm, i ministri Giorgetti, Massimo Garavaglia ed Erika Stefani si appartano e sentono al telefono Salvini. Che, evidentemente, non deve prenderla bene. Poco dopo, in Consiglio dei ministri è proprio Giorgetti a formalizzare lo strappo. «Sul decreto ci asteniamo, per le ragioni che tutti voi conoscete», dice faticando a nascondere l'imbarazzo. Draghi - e pure il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli - resta di sasso. La discussione prosegue però su altro, fino a che Dario Franceschini non torna sul punto. «È inaccettabile che su un decreto così importante una forza di maggioranza non prenda parte al voto», dice il ministro dei Beni culturali. Giorgetti tace e allarga le braccia. Il premier si limita a poche, laconiche parole: «È un precedente molto grave, ne prendo atto». C'era una decisione già presa in cabina di regia - dirà in privato più nelle ore successive - e «gli accordi vanno rispettati». Insomma, «fatico a comprendere Salvini».

Che, a dirla tutta, si sta in realtà muovendo secondo uno spartito già visto. Quando al governo sedeva anche lui, erano i tempi del Conte 1, se c'era da marcare la differenza la strada era infatti quella di marinare il Consiglio dei ministri, così da non votare i provvedimenti sgraditi (vedi lo spazzacorrotti). Ora che non è più ministro c'è stato una sorta di upgrade, con la scelta di essere sì presenti in Cdm ma nel caso astenersi. Che poi, non è propriamente un atto politico incidentale, visto che la Lega è - in quanto a seggi - il secondo gruppo del Parlamento. E che ieri si è sfilata non certo su un provvedimento di risulta.

Insomma, politicamente parlando, siamo a una sorta di pre-crisi di governo. Scenario che, con un certo garbo, Draghi ha definito «un precedente grave». Smussato solo in parte dai toni concilianti di Salvini. Che anche a tarda sera ci tiene a ribadire «piena fiducia» nel premier. Con cui, spiega, dopo l'sms si sono «lungamente parlati al telefono». La scelta di non votare il decreto, spiega il leader della Lega, è stata dettata solo dall'aver «ascoltato sindaci, governatori, associazioni, imprese e lavoratori di tutta Italia». Una strada non condivisa da Forza Italia. «Come ha detto Antonio Tajani - spiega il ministro per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini - siamo soddisfatti per la scelta di Draghi di procedere con aperture intelligenti, graduali e progressive». Che, aggiunge il capodelegazione azzurro nel governo, saranno oggetto di un «tagliando» ogni due settimane.

Il tema, però, è ora il precario equilibrio tra Draghi e Salvini. Anche in vista delle tre mozioni di sfiducia contro il mai amato ministro della Salute Roberto Speranza.

Sono state calendarizzate per mercoledì e Federico D'Incà, titolare per i Rapporti con il Parlamento, proprio ieri mattina aveva avuto rassicurazioni dal capogruppo della Lega in Senato, Massimiliano Romeo («voteremo no alla sfiducia» per «non ostacolare il governo»). Garanzie non troppo granitiche, se già ieri sera la linea sembra essersi spostata su quella dell'astensione.

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