L'anziana rom è stata scarcerata precipitosamente ieri mattina su ordine del tribunale, dopo che la notizia era finita sui giornali. Notizia oggettivamente da sobbalzo: una ottantacinquenne non autosufficiente chiusa a San Vittore a scontare una piccola pena per un piccolo reato, di quelli per i quali di solito non finisce in prigione nessuno. Un caso di disumanità giudiziaria, reso noto da Antigone, associazione specializzata nella difesa dei diritti dei detenuti.
Come è stato possibile? La ricostruzione effettuata ieri dice che la storia è più complicata di quanto apparsa in un primo momento. Perché insieme alle lentezze giudiziarie porta all'attenzione anche inspiegabili omissioni della difesa e della stessa signora. E perché tutto avviene in un contesto, quello della microcriminalità di matrice rom, con cui da sempre la giustizia si muove a fatica: basti pensare alle gravidanze a ripetizione con cui le donne della comunità riescono ad evitare il carcere anche per condanne decennali.
Dalla sua parte, la protagonista della vicenda non aveva, vista l'età, la chance della dolce attesa ma uno stato complessivo di salute che avrebbe dovuto comunque consentirle di restare libera. Ma né lei né il suo difensore, a quanto risulta, hanno fatto nulla per ottenere questo beneficio. E a quel punto la macchina della giustizia si è mossa in modo quasi automatico.
Tutto nasce da un procedimento penale per occupazione abusiva di uno stabile. La signora, con altri parenti, si era installata in un appartamento popolare di via Bolla, una delle zone milanesi più segnate dalla piaga dell'abusivismo. Identificata e denunciata, era stata condannata a otto mesi di carcere con la condizionale, subordinata - come accade di norma - alla liberazione dei locali. La signora però non se ne va, la sospensione condizionale le viene revocata, parte l'ordine di esecuzione della condanna a otto mesi. Ma neanche a quel punto la donna viene portata in carcere: nel provvedimento notificato al suo difensore si comunica che ha trenta giorni di tempo per chiedere l'affidamento in prova ai servizi sociali.
Non si tratta di un difensore d'ufficio, di quelli che del proprio cliente a volte non hanno neanche il numero, ma di un difensore di fiducia, presso il quale la donna ha eletto domicilio. Ma nessuna domanda di affidamento viene presentata. Scaduto il termine, parte così l'ordine di portare la donna in carcere. Nessuno, in realtà, si preoccupa troppo di dare la caccia alla latitante, che rimarrebbe probabilmente indisturbata. Se non fosse che il 27 settembre, durante un controllo di polizia in un'altra casa popolare della stessa strada, salta fuori l'anziana, che ha occupato un altro appartamento. Dai terminali della polizia emerge l'ordine di arresto, e la 85enne viene portata in carcere.
A San Vittore sono gli assistenti, vista la inconsueta età della nuova ospite, a suggerirle di chiedere una visita medica che certifichi la sua incompatibilità con la detenzione.
Il giudice di sorveglianza accoglie la richiesta, ordina la perizia che il 3 ottobre attesta: non è malata, ma non è in grado di cavarsela da sola, deve uscire di cella. Per una settimana, il tribunale resta fermo. Ieri, parte l'ordine di liberazione. Ma la signora dove andrà a stare?
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