«La legge non specifica cosa si intenda davvero per mobilitazione parziale. La linea che separa la mobilitazione parziale da quella generale non è chiara e sarà determinata solo in seguito, dai decreti attuativi. Al momento non c'è una distinzione». L'analisi di Kaloy Akhilgov, avvocato russo con Master a Harvard, chiamato in causa dal sito di informazione Meduza, spiega perché ancora ieri, dopo l'annuncio di Vladimir Putin, le code di auto al confine tra Russia e Finlandia erano di oltre 15 chilometri, mentre gli scali delle principali città della Federazione venivano presi d'assalto (11mila uomini sono fuggiti via cielo subito dopo il discorso). È la grande fuga dalla mobilitazione militare, la prima in epoca moderna, annunciata mercoledì da Vladimir Putin e che terrorizza molti russi, timorosi di essere chiamati a combattere sul fronte ucraino. Secondo Novaya Gazeta Europa, Putin potrebbe chiamare fino a un milione di riservisti, un numero ben superiore ai 300mila «con precedente esperienza militare» di cui ha parlato il ministro della Difesa Dmitry Shoigu. L'articolo 7 del decreto è stato secretato e secondo una fonte, «la cifra è stata corretta più volte e alla fine si è deciso per un milione». «Una menzogna» ha replicato ieri piccato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Ma è evidente che siano i russi a pensare che la bugia, l'ennesima, potrebbe essere proprio quella del regime di Mosca.
Ciò che è sempre più evidente - e lo ha sottolineato il report dell'intelligence britannica - è che «Putin dovrà lottare sul piano logistico e amministrativo per radunare 300mila riservisti». La mobilitazione è impopolare, anzi potrebbe diventare l'arma del suicidio per lo «Zar», ora che è arrivata una nuova chiamata alle armi. Tra i «riservisti» figurano anche migliaia di ex universitari che in gioventù hanno firmato per svolgere il servizio di leva nel centro militare dell'ateneo, in modo da ottenere la riduzione automatica dell'obbligo da un anno a un mese. E adesso tremano. Non è un caso che ieri la Repubblica russa del Tatarstan abbia vietato «temporaneamente» ai residenti riservisti di lasciare la regione, dopo che Mosca ha inasprito le pene per i disertori.
Eppure il regime restituisce umori ben diversi. Secondo il portavoce dello Stato maggiore, Vladimir Tsimlianski, quasi 10mila persone, in 24 ore, si sono presentate volontariamente per essere arruolate, prima di ricevere la convocazione. Centinaia di altri, nonostante la dura repressione il giorno prima - oltre 1300 arresti in 38 città russe - sono invece tornati in piazza per dire «no» alla guerra e alla mobilitazione. Per alcuni la pena è stata la più feroce: dalle proteste sono stati spediti all'ufficio reclutamento, riferiscono diversi attivisti.
Ecco perché dall'Europa si sente la prima voce di solidarietà piena a chi scappa. La Germania ha annunciato, tramite il ministro dell'Interno, Nancy Faeser, che è pronta ad accogliere i disertori russi «minacciati di repressione». «Possono chiedere asilo politico», ha aggiunto, sostenuta dal ministro della Giustizia, Marco Buschmann, che su Twitter scrive: «Benvenuti». Al contrario la Norvegia, in linea con la Ue, ha sospeso temporaneamente l'accordo con Mosca per i visti facili. E la Finlandia, alla cui frontiera di solito passano 3mila russi contro i quasi 5mila arrivati dopo il discorso di Putin, ha annunciato di voler interrompere il transito e l'arrivo. «Non è giusto considerarli obiettori di coscienza», dice la Lettonia.
«Molti dei russi che ora fuggono erano d'accordo con l'uccisione degli ucraini, non hanno protestato allora». Linee divergenti. L'Ue dovrà affrettarsi a trovare «un approccio comune» dopo aver invitato i Paesi a valutare le richieste di asilo «caso per caso».
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