Un giorno, un giorno solo per raccontarci silenzio e tormento. Un bellissimo silenzio, a regalarci un sentimento più di mille parole. Un gesto, niente di più. Roberto Mancini non ha smentito l'indole della persona sensibile che vive in un mondo di parole, immagini, fatti, successi e sconfitte, amori e disamori. Il mondo di tutti noi, ciascuno nel suo ruolo. Poi, certo, ieri si è prestato all'intervista Rai-Figc per ricordare l'amico perduto e per lanciare un programma sulla storia della Sampdoria. Ma in quel vorticare di chiacchiere social, immagini tv, pareri e contro pareri piovuti a cascata, subito dopo l'annuncio della morte di Luca Vialli, si è tenuto nell'angolo: non buio, non oscuro, piuttosto solitario e silenzioso. Non una parola social, almeno per un giorno. Semmai qualche confessione ad amici di lunga data. Non guardiamolo con l'occhio degli addetti ai lavori, ma con l'occhio di un comune suiveur di calcio. Poi ieri ci ha raccontato che «un amico è un amico» che «Luca era un fratello, era gioia e così va ricordato», che «il rapporto nostro è stato di rispetto, amore e amicizia».
Eppure preferiamo ricordare quel Mancini che ha lasciato vorticare il presenzialismo social, dove tutti devono dire qualcosa Sennò che figura! Magari pensano che, Io che lo conoscevo. Grondare di pensieri e pensierini, veri certamente veri, di giocatori ed ex, allenatori ed ex, politici e attrici, star e starlette, presidenti ed ex, amici, conoscenti, attori e comprimari. Si è letto di tutto e di più, qualche volta di peggio. Sentimenti a scorrere, belli, sinceri, commemorativi, estemporanei, qualcuno ha perfino raccontato i sogni, qualche altro ha ricordato segni e segnali, certuni hanno giocato d'anticipo. Niente di male, una grande abbuffata di sensazioni e dispiacere, di commozione, quel senso di sentirsi un po' più soli. Ne è sortita una preghiera di massa, la commemorazione in una cattedrale che questa volta non era Chiesa e nemmeno stadio di calcio: solo una sfera intesa come mondo. Eppure, dedicandoci al suo silenzio non proprio assordante, piuttosto intimo, vero, spazio di bellezza pura, commemorativo e fraterno, abbiamo immaginato di veder Mancini Roberto, un vecchio ragazzo come tanti, seduto sulla poltrona a ripescare il film di una vita, di un percorso, immagini che non nascono dalla fantasia ma riportano alla realtà che non sempre può essere bella vita. Poi metteteci i protagonisti che volete: mamme, papà, fratelli e sorelle, mogli, figli, Mantovani e Boskov, i ragazzi della via Samp, le squadre, i club, la nazionale, coppe e gol, successi e insuccessi. I due si sono narrati prima sui campi di calcio, poi nel percorso che li ha portati insieme a quell'abbraccio che ha commosso l'Italia, e non solo, a conclusione degli Europei. Ecco, forse tutti avremmo voluto che il ricordo, la sensazione, l'aggrovigliarsi di emozioni rimanessero fermi a quella immagine, alla bellezza dell'amicizia. Loro due, ma quanti di noi con loro?
Sapevamo che la vita di Vialli era a tempo determinato. Mancini, dopo l'ultima visita a Londra, ha parlato di miracolo. «Solo quello potrebbe salvarlo». E qui si sono fatti largo il realismo, la delicatezza di un sentimento, l'indole di un uomo che crede ma capisce il destino. Silenzio per lui, chiacchiere dagli altri. Il mondo social è curioso e talvolta devastante, il protagonismo al quale induce non si pone limiti. Ci voleva un tasto, un clic ad ammutolire per poter sopportare tutto il rumore. Per un giorno ci ha pensato l'amico. Poi Mancini è anche un ct, non solo un amico. Ha un ruolo istituzionale, e ieri la Figc lo ha intervistato per conto del mondo calcio. Mancio disse un giorno, parlando di Luca: «Perché magari nella vita devi trovare amici che lo siano veramente, fino alla fine, per molti anni». Fino alla fine appunto. Lo sono stati, nelle chiacchiere e nel silenzio. E siamo certi che il ct tenterà in tutti i modi di mantenere l'ultima promessa: «Luca ha fatto capire ai giovani il valore della maglia azzurra.
Dobbiamo proseguire su questa strada. Era un ragazzo sempre allegro, giovane al quale piaceva la vita. Vorrebbe che lo ricordassimo così». E magari tramutare un bellissimo silenzio in un bellissimo sorriso: forza Mancio, c'è miracolo e miracolo.
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