"Da militante a premier, ecco il segreto di Giorgia Meloni"

Giorgia Meloni, premier 'underdog', è "l'unica che ha fatto una gavetta come si faceva 30 anni fa", sentenziano gli esperti

"Da militante a premier, ecco il segreto di Giorgia Meloni"

Lei si è definita “underdog”. A Roma, gli avversari la chiamano “la pesciarola” per evidenziare la sua estrazione popolare e quella voce dalle tonalità, a volte, troppo alte. Ma, Giorgia Meloni, è molto più di questo e lo ha dimostrato ampiamente in campagna elettorale e in queste prime settimane da premier.

“Lei, tra i vari presidenti del Consiglio, è una delle poche che viene dal popolo”, dice a ilGiornale.it il sondaggista Antonio Noto che considera positivamente questo aspetto, come “il segno che siamo una democrazia matura”. Di Giorgia Meloni, però, non colpisce solo la storia personale e familiare, segnata da un rapporto quasi inesistente col padre, ma anche il suo percorso politico. “La Meloni è forse l'unica che ha fatto una gavetta come si faceva 30 anni fa quando si partiva dal basso, dal territorio e, poi, via via, si avevano ruoli di più alto livello”, osserva Noto. Se, infatti, è vero che il leader di FdI è l'esponente più giovane del suo governo e che nel 2008 è stata il ministro più giovane della storia repubblicana, è pur vero che la Meloni ha iniziato a far politica nel 1992. Dopo aver militato nel Fronte della Gioventù e nei movimenti giovanili di Alleanza Nazionale, nel 2004, contro ogni pronostico, diventa presidente di Azione Giovani e da lì la sua carriera politica spicca letteralmente il volo. Nel 2006 entra alla Camera, avendo già alle spalle un'esperienza da consigliere provinciale di Roma.

Una storia del tutto differente dalla nuova classe politica che “arriva direttamente in Parlamento senza passare da azioni politiche sviluppate dal territorio”, spiega il sondaggista che sottolinea: “Gli ultimi presidenti del Consiglio o rappresentavano la società civile oppure sono persone che sono state catapultate in Parlamento da un momento all'altro”. E, in effetti, il premier Mario Draghi, prima del 2021, non era mai neppure entrato in Parlamento. Giuseppe Conte, prima di arrivare a Palazzo Chigi nel 2018, era stato semplicemente indicato dall'allora capo politico del M5S, Luigi Di Maio, come possibile ministro della funzione pubblica di un eventuale governo pentastellato. Anche Matteo Renzi, nel lontano 2014, divenne premier pur non essendo parlamentare, ma solo in quanto segretario del Pd che stava facendo le scarpe all'allora compagno di partito, Enrico Letta. È bene sottolineare, però, che il sistema di selezione della classe dirigente nei partiti è cambiato enormemente rispetto al passato. “Nella Prima Repubblica, in tutti i partiti, avevamo politici che arrivavano da settori sociali privilegiati ambienti culturalmente elevati o con famiglie che avevano ruoli di vertice”, spiega a ilGiornale.it Massimiliano Panarari, docente di sociologia della Comunicazione all'università Mercatorum di Roma. “Esisteva, poi, un sistema di selezione tipico dei partiti di massa, come la Dc, il Pci e il Psi, che consentiva a una parte dei dirigenti proveniente dalla militanza di base di crescere politicamente, proprio com'è successo alla Meloni”, fa notare Panarari. E quei partiti avevano delle vere e proprie scuole di formazione (si pensi a Frattocchie per il Pci) dove i militanti potevano iniziare la loro carriera politica. “Una carriera che diventava, poi, una sorta di ascensore sociale per i giovani”, sottolinea Panarari.

Con la Seconda Repubblica, invece, il processo di selezione cambia perché i partiti perdono la loro presenza sul territorio e diventano sempre più leggeri. “Questo fa sì che, in tutti i partiti, la selezione avvenga tramite le correnti e la vicinanza al leader o al capocorrente”, spiega il sociologo, convinto che questa nuova situazione abbia compresso la possibilità di fare carriera per tutti i militanti che provenivano dalla base.

“Anche nel Pd, come in An e in FdI, il tema della militanza persiste ancora oggi, ma la storia del neo-premier è diversa perché è quella di donna che ha fatto carriera in un ambiente maschilista come quello della destra italiana”, chiosa il sociologo. Il libro 'Io sono Giorgia', sentenzia invece Noto, “ha contribuito a generare il profilo della donna che ha fatto la gavetta e che dovrebbe fare qualsiasi politico”.

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