Giusto in tempo. Oggi pomeriggio il Senato approverà la legge che istituisce la giornata in ricordo delle vittime dell'epidemia di Coronavirus. «Ci siamo, - spiega Giorgio Mulè, giornalista di lungo corso, deputato di Forza Italia e sottosegretario alla difesa nel governo Draghi - il Paese ha finalmente un momento per riflettere, piangere e condividere la memoria di una tragedia che ha segnato l'Italia».
Mulè è il padre di quella norma che la Camera ha approvato a larghissima maggioranza ed ancora lui ad aver segnato sul calendario la data della ricorrenza: 18 marzo. Domani.
Perché il 18 marzo?
«Perché il 18 marzo dell'anno scorso una processione di camion dell'esercito portava via da Bergamo le bare. Le foto di quell'interminabile corteo funebre hanno fatto il giro del mondo. Aggiungo che trovo assai suggestivo il voto finale proprio il 17 marzo. Il 17 marzo 1861 nasceva ufficialmente il Regno d'Italia».
Oggi si rifonda la Repubblica, fra dolore e speranza?
«Faremo di tutto per onorare le vittime. Ci sarà un minuto di silenzio dove sarà possibile e i lavoratori potranno devolvere un'ora o più della loro fatica alla ricerca scientifica; non solo: le scuole e la Rai promuoveranno il 18 marzo lezioni, dibattiti, trasmissioni. Questo deve essere un momento di unità del Paese».
Certo, un anno fa nessuno poteva immaginare che dodici mesi dopo saremmo stati ancora in piena crisi.
«Ci sono stati errori e sottovalutazioni. Molti credevano che con l'estate sarebbe finito tutto, ma purtroppo la realtà li ha smentiti. E poi sono arrivate le varianti».
Draghi ce la farà?
«C'è una forte discontinuità rispetto al governo Conte».
Sicuro? C'è ancora molta incertezza.
«È cambiata la catena di comando della lotta al virus. Via Arcuri, avanti con il generale Figliuolo. E poi sono cambiati i vertici della polizia, della Protezione civile, dei Servizi. Ma non è solo questo il punto».
E qual è?
«Prima si procedeva in ordine sparso e per compartimenti stagni. C'era Arcuri e c'erano polemiche e tensioni continue».
Adesso?
«Ora chi può dà una mano. È una chiamata generale alle armi: i medici di base, gli odontoiatri, i pediatri, l'Esercito, i Rotary e i Lions, la Protezione civile e le quattromila aziende, grandi e piccole, che hanno offerto spazi e camici bianchi per spingere la campagna vaccinale. Mi pare che anche i conflitti fra Palazzo Chigi e le Regioni siano diminuiti e non abbiano più l'intensità di prima. Siamo tutti in trincea, come - se è lecito un paragone - nella Grande Guerra. Per questo oggi saró al Pantheon, sulla tomba di Vittorio Emanuele, cercando di tenere insieme tutta la nostra storia, fra passato e futuro».
Qualcuno a sinistra ha ironizzato sull'arrivo dei generali.
«Solo frange della sinistra radicale, accecata dai pregiudizi che si porta dietro dal secolo scorso. Non hanno capito che i militari servono il Paese, come i camici bianchi, gli infermieri, i volontari e tutti quelli che collaborano ad una gigantesca operazione patriottica».
Intanto, le vaccinazioni sono in bilico. Come superare questo momento di difficoltà?
«Il problema AstraZeneca esiste e va affrontato in sede scientifica, ma poi bisogna lavorare sulla comunicazione».
Ma gli scienziati sono in grado di darci la rotta?
«L'Ema ha promesso una risposta rapidissima e io mi fido dell'ente europeo. Non dimentichiamo che i casi gravi sono poche decine in tutta Europa. È un po' come quando cade un aereo e una determinata compagnia finisce sotto accusa».
Come se ne esce?
«Ci deve essere un'indagine senza ombre ma anche una voce sola che dica come stanno le cose.
Non è ammissibile che si dia il via al solito torneo dei virologi e degli esperti. Io mi aspetto che l'Ema ci consegni un quadro chiaro al più presto. Non siamo su una giostra, ma in guerra che solo in Italia ha provocato più di centomila morti».
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