Tempismo perfetto. La Cassazione dà ragione al premier dicendo che è a discrezione dei giudici se disapplicare o meno le valutazioni dell'esecutivo sui «Paesi sicuri» ma che va fatto non erga omnes ma caso per caso, sul singolo richiedente asilo, senza sostituirsi al governo. Esulta l'opposizione ma per il partito dei giudici e dei pm più ideologici è una vittoria di Pirro, proprio mentre in Europa si discute di una lista Ue di «Paesi sicuri», sostanzialmente inappellabile, di cui la Ue chiede di anticipare di un anno l'entrata in vigore (dal giugno dell'anno prossimo anziché dal 2026), mentre Giorgia Meloni sta convincendo gli alleati sui Paesi terzi extra Ue come l'Albania da usare come «returns hub», cioè centri per rimpatriare chi non ha diritto.
La giurisprudenza creativa italiana non potrà più ostacolare il nuovo Piano contro l'immigrazione clandestina che, rispetto al 2013, ha deciso una stretta sui rimpatri e sui trattenimenti nei Cpr. La Cassazione pubblicata ieri - va chiarito - si riferisce all'elenco dei «Paesi sicuri» non ancora diventato decreto. Nel dare ragione al tribunale civile di Roma e torto al ministero dell'Interno sancisce un principio che già in passato era stato applicato: i giudici possono valutare per un richiedente asilo il Paese è davvero «sicuro», se ci sono ragioni che minano l'incolumità di chi cerca giustamente una protezione internazionale.
È la scoperta dell'acqua calda, dicono fonti governative. Il problema nasce quando - come è successo con alcune sentenze fotocopia - si stabilisce che un Paese non è sicuro non per il singolo richiedente ma in generale, ovvero se nel Paese di provenienza dell'immigrato che andrebbe respinto perché privo dei requisiti per l'asilo, una parte non è sicura. È questa l'interpretazione che la magistratura più ideologica ha dato alla sentenza del 4 ottobre scorso della Corte di giustizia Ue. Si tratta di un criterio geografico che la lista Ue a cui l'Europa sta lavorando, come ha annunciato al Consiglio d'Europa il presidente Ursula von der Leyen, potrebbe bypassare, perché se il «Paese sicuro» avesse il timbro del diritto Ue la magistratura non avrebbe più appigli.
La Cassazione parla di un tunisino a cui la domanda d'asilo è stata respinta. Se il giudice ha il dovere di verificare se l'eventuale rimpatrio del singolo clandestino ne mette a rischio l'incolumità ma «non può sostituirsi al ministro degli Esteri» né «annullare con effetti erga omnes il decreto», sancisce la Cassazione. L'istruttoria per motivare l'eventuale «insicurezza» del Paese deve essere ben documentata. Dopo il decreto del governo, lo stesso tribunale di Roma, sezione Immigrazione (presieduto dalla leader di Md Silvia Albano) avrebbe bocciato il respingimento dei richiedenti asilo provenienti da Egitto e Bangladesh (portati in Albania e riportati in Italia) con sentenze fotocopia e senza la necessaria istruttoria, dicono fonti vicino al Viminale, e senza neanche appellarsi alla Corte Ue. «Questa sentenza, piaccia o no ai magistrati di sinistra, esaurisce il potere del giudice all'adozione di provvedimenti disapplicativi limitatamente al caso a lui sottoposto, non erga omnes», sottolinea il capogruppo Fdi alla Camera Galeazzo Bignami.
La differenza è sostanziale: prima di disapplicare la lista decisa
dal governo bisogna aver «adeguatamente dedotto l'insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova». È la politica a deciderlo, il giudice può valutare dopo un'istruttoria sul richiedente asilo, non sul Paese.
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