Questo lungo inverno prima o poi finirà e il governo, e i partiti, torneranno magari a occuparsi di quello che c'è oltre l'orizzonte. La politica è ancora prigioniera della pandemia, delle varianti del virus, di vaccini e di passaporti sanitari, poi si è aperta un'altra bolla, che dovrebbe restare in campo fino a febbraio. È la corsa al Quirinale. Tutto questo in attesa delle elezioni politiche del 2023. La domanda allora è se ci sarà tempo di occuparsi del piano nazionale di ripresa e resilienza. È quello che per brevità viene chiamato Pnrr. Il destino dell'Italia, si è detto, dipende da come saranno spesi i 750 miliardi di euro che l'Europa ha messo sul piatto. Non sono un regalo e, a essere sinceri, al momento neppure esistono davvero. Sono una possibilità e per averli devi saperli spendere. Saranno reali solo se li attrai all'interno di progetti credibili e gli doni sostanza. Non è affatto scontato che questo avvenga. È la sfida di come mettere a terra la grande scommessa di un rinascimento italiano. Il buon senso dice che questo dovrebbe essere la preoccupazione principale di qualsiasi discorso politico. Ti stai giocando il prossimo mezzo secolo e probabilmente anche di più. La sensazione è che il tema sia diventato marginale. Lo stesso Draghi sembra assorbito dal presente e non c'è dubbio che tutti speravano di uscire dall'emergenza pandemia un po' prima. Fatto sta che il piano è sulla carta, ma non è ancora reale. Non si vedono cabine di regia sull'urgenza di farlo funzionare. È una gara a tappe. Ogni anno devi dimostrare di aver centrato gli obiettivi richiesti. Il governo ha inviato a dicembre i 51 fissati nel 2021. La commissione Ue li sta esaminando e entro due mesi dovrà dare il suo responso. Il sì sblocca i primi 24 miliardi. A Palazzo Chigi sono ottimisti. Finora solo la Spagna ha passato l'esame. Francia, Slovacchia e Grecia sono in attesa come noi. Gli altri sono in ritardo.
L'Italia è quella più interessata al fondo Next Generation. È la nazione per cui è stato quasi disegnato. Il dubbio è come una burocrazia che fatica a sfruttare i fondi europei ordinari riesca a compiere questa impresa. C'è un lavoro da fare a livello regionale e locale forse al di sopra delle attuali competenze. Sono stati assunti mille esperti, sorta di garibaldini, da dislocare sul territorio.
Il 2022 sarà un anno cruciale. Gli obiettivi da raggiungere sono 102, in tutto alla fine saranno 528, e nel 2026 si prevede una surplus del 3,6 per cento del Pil rispetto a uno scenario senza Pnrr. Cosa dobbiamo fare quest'anno? Rendere operativa la riforma della giustizia, assunzioni nei tribunali, la riforma del pubblico impiego e le nuove carriere degli insegnanti, la riforma della scuola primaria e secondaria, la legge sui centri per l'impiego, una parte della riforma fiscale per ridurre l'evasione, la costruzione delle nuove ferrovie ad alta velocità Napoli-Bari e Palermo-Catania, gli appalti per la ricerca sull'idrogeno e quelli per la banda ultra larga da ramificare lungo tutta la penisola. Alle prime aste, in particolare quelle per le isole minori, non ha partecipato nessuno. Troppi vincoli contrattuali e finanziari. Ora il ministro della Transizione digitale Vittorio Colao potrebbe procedere alla trattativa diretta. La preoccupazione è però su le gare più importanti, come «Italia a 1 giga» e quella cruciale sul 5G. È lì che ci si gioca molto.
Le sfide più difficili riguardano la transizione ecologica affidata a Roberto Cingolani e le infrastrutture che fanno capo a Enrico Giovannini. È lì, oltre che sulle reti, che verremo giudicati dall'Europa.
L'ambiente tira in ballo tutto il discorso sulle politiche energetiche, su cui l'Italia stenta ad avere un progetto di largo respiro dai tempi di Mattei. Qui entra in ballo il nucleare e siamo già entrati in una dimensione ideologica.
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