Sono considerati il «cervello» delle app. Capaci, grazie a calcoli matematici molto complessi, di tracciare i gusti dei consumatori attraverso i social media e di presentare loro proposte su misura. Proprio per questo gli algoritmi sono da sempre tenuti segreti dai giganti dell'hi-tech. Adesso però il governo cinese, attraverso un regolamento entrato in vigore lo scorso marzo, ha deciso di imporre ai colossi presenti in patria da Alibaba a Douyin - di mettere a disposizione i propri segretissimi programmi, svelando i meccanismi usati per «spiare» gli utenti della Rete.
La versione ufficiale assicura che la misura è necessaria per garantire maggiore trasparenza nell'utilizzo di questi dati personali, ma anche per verificare la conformità di queste tecnologie e dei loro dettagli tecnici con le leggi nazionali in vigore. La paura è che, invece, possa trattarsi dell'ennesimo tentativo di controllare i cittadini. Dopo aver ricevuto gli algoritmi richiesti, la Cyberspace administration of China ha anche pubblicato i risultati dell'indagine avviata su trenta programmi, spiegando per quali scopi vengono usati a seconda dei casi e dei settori in cui le aziende sotto esame operano. Il documento spiega, per esempio, che l'algoritmo di Taobao sito di e-commerce di proprietà di Alibaba - «raccomanda prodotti o servizi agli utenti attraverso la loro impronta digitale e i dati di ricerca storici». E che quello dell'app per video brevi Douyin - la versione cinese di TikTok - misura gli interessi degli iscritti attraverso i clic, i like e i «non mi piace». Oltre che in base al tempo trascorso dalle persone sui contenuti della piattaforma.
A chi teme che il governo di Pechino stia studiando una nuova mossa per mettere la privacy dei cittadini sotto la sua ingombrante lente di ingrandimento, creando addirittura una sorta di registro pubblico degli algoritmi, è arrivata una prima precisazione: «In questa fase, le autorità non hanno ancora chiesto esplicitamente alle aziende di modificare i loro algoritmi, i regolatori sono ancora nella fase di raccolta delle informazioni». Parola di Angela Zhang, specialista in diritto cinese all'università di Hong Kong. Non mancano però le preoccupazioni su un altro aspetto: se da una parte Pechino vuole far credere di «difendere» i propri cittadini da eventuali abusi e pratiche scorrette dei giganti hi-tech, la nuova misura offre la possibilità per il regime di mettere le mani su dati estremamente sensibili e finora inaccessibili. Dati che riguardano oltre un miliardo di individui, ovvero la base di utenti internet più estesa del mondo, un mercato dalle potenzialità infinite per e-commerce, giochi online e dispositivi elettronici.
Pechino ha da tempo concentrato la propria attenzione sul modo in cui i social media del Paese sono in grado di orientare gusti e opinioni dei cittadini. Cercando di spingere i giganti dell'hi-tech a proporre contenuti più adatti al consumo pubblico secondo il regime. Di qui la richiesta di creare algoritmi che diffondano «energia positiva», inibendo allo stesso tempo comportamenti poco in linea con gli obiettivi dello Stato. Proprio per questo recentemente i colossi americani Google e Facebook sono stati messi sotto pressione per inviare a Pechino questo tipo di informazioni.
Per il momento le aziende della Silicon Valley sono riuscite a resistere, affermando che gli algoritmi sono segreti commerciali. La stessa cosa non è avvenuta per i giganti con sede in Cina, costretti dalla legge a rivelare il cuore pulsante delle proprie applicazioni.
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