Quando si legge di un missile che abbatte un aereo in Ucraina o dei carri armati israeliani costretti a intervenire a Gaza per bloccare i razzi dei terroristi di Hamas, bisognerebbe evitare di lanciarsi in comparazioni storiche per dominare così i più profondi impulsi al pessimismo.
Ma è irresistibile ricordare come le attuali acute crisi internazionali avvengano tra il 28 giugno (a cent'anni dall'attentato di Sarajevo, causa scatenante della Grande guerra) e il 28 luglio, data ufficiale in cui scoppiò il conflitto che sconvolse l'Europa di fatto fino al 1945, ma con potenti strascichi che arrivano alla fine degli Anni Ottanta.
Chi dice come sia impossibile una nuova tragedia perché il mondo è ormai pacifico da tanto tempo e il benessere si è diffuso diventando di per sé elemento rasserenante, dovrebbe rammentare come erano proprio questi argomenti che rassicuravano le opinioni pubbliche europee cento anni fa in quella che non per nulla è stata chiamata la «Belle époque».
Anche allora c'era una grande potenza che dominava le scene dal 1815, guidando un progresso industriale e di conquiste liberali. La Gran Bretagna allora sovraintendeva il mondo con la sua Royal Navy, con la sua sterlina, con la sua funzione di propulsione allo sviluppo così come oggi l'America con il suo esercito incomparabilmente più forte di qualsiasi altra armata, con il suo dollaro e le sue Goldman Sachs, con la sua funzione di locomotiva globale.
Anche allora c'era una Prussia diventata Germania che pareva fattore di sostegno allo sviluppo globale, troppo coinvolta nei «traffici» per essere tentata dalle guerre: esattamente lo stesso ragionamento che si fa oggi sulla Cina.
Anche allora l'unificazione tedesca era apparsa elemento di equilibrio nel continente, contrappeso a francesi e russi. Anche allora non si comprese come la Grande Germania fosse di per sé fattore di tensione come giustamente intesero gli statisti che fondarono prima la Comunità e poi l'Unione per ingabbiare esiti di questo tipo, oggi apparentemente risorgenti e poco governabili.
Anche allora la dissoluzione di un impero come quello ottomano, storicamente analoga alla fine dell'impero sovietico, apparve agli osservatori più ottimisti tale da aiutare automaticamente la pace, non comprendendo invece - gli unici a preoccuparsi di fatto erano gli inglesi e non solo per motivi egoistici - che il disgregarsi di un assetto che coinvolgeva etnie spesso tra loro ostili (si consideri solo la questione balcanica) poteva diventare un terribile acceleratore di crisi internazionali.
Solo pochi anni fa Sharm el Sheikh era la nostra nuova Rimini e Malindi la nostra nuova Forte dei Marmi. Oggi sono diventate zone esposte al terrorismo islamista. Così sta cambiando un mondo in cui gli americani sono costretti ad allearsi con i sunniti contro gli alawiti appoggiati dagli iraniani in Siria e con gli sciiti appoggiati dagli iraniani contro i sunniti in Irak.
Personalmente ritengo che molto di questo caos sia dovuto al tradimento di Jacques Chirac e Gerhard Schroeder contro l'America di George Bush nel 2003, quando si sarebbe potuto, con il concorso anche di Vladimir Putin, dare un equilibrio al mondo. Adesso bisognerà faticare per trovarne uno nuovo, non dando per scontato che sia inevitabile (e quindi che non possano esserci esiti catastrofici).
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