"La guerra sarà lunga e non ci fermeremo"

Il ministro israeliano Gallant: "Attaccati su sette fronti". Nel Mar Rosso gli Usa abbattono droni e missili Houthi

"La guerra sarà lunga e non ci fermeremo"
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Sono trascorsi appena due minuti dalle 22 di ieri quando l'agenzia Ansa batte il testo di una nota ufficiale del Pentagono: «Gli Usa hanno distrutto 12 droni e cinque missili lanciati dagli Houthi sul Mar Rosso». Ed è passata appena una mezz'ora da quando proprio loro, i ribelli Houthi dello Yemen hanno dichiarato di avere effettuato attacchi con droni contro la città israeliana portuale di Eilat e contro una nave commerciale Msc United nel Mar Rosso dopo che questa aveva respinto tre richieste di avvertimento.

Un botta e risposta che non fa che confermare quanto aveva dichiarato nel pomeriggio il capo maggiore dell'esercito israeliano Herzi Halevi sottolineando che la guerra tra Israele e Hamas «andrà avanti ancora per molti mesi». Mentre l'Onu, che si è detta «seriamente preoccupata», ha esortato le forze di Tsahal ad adottare tutte le misure disponibili per proteggere i civili, i raid sono continuati per tutta la giornata. Già qualche ora prima del blitz messo a segno dagli Houthi, il quartier generale della Mezzaluna Rossa palestinese di Khan Younis era stato colpito e c'erano state alcune vittime fra gli sfollati al suo interno.

Il bilancio dei morti continua a salire: almeno 20.915 persone sono state uccise nell'enclave palestinese e altre 54.918 sono state ferite in oltre 11 settimane di combattimenti. Nelle ultime 24 ore l'aviazione dello Stato ebraico ha colpito più di 100 obiettivi di Hamas nel Sud della Striscia, in preparazione di un'operazione di terra. Mentre sono almeno 106 i morti del bombardamento lunedì del campo profughi di Maghazi. Si tratta di uno dei raid più sanguinosi dall'inizio dell'operazione militare. La società palestinese Paltel ha annunciato un nuovo taglio delle telecomunicazioni a Gaza, il quarto dall'inizio della guerra.

Il rischio è anche quello di un allargamento del conflitto. Ieri il ministro della difesa Yoav Gallant ha denunciato una situazione di accerchiamento: «Siamo attaccati da sette fronti diversi: Gaza, Libano, Siria, Israele, Iraq, Yemen e Iran. Questa è una guerra lunga e dura, siamo stati brutalmente e barbaramente attaccati per scoraggiarci dal vivere qui. Chiunque farà un gesto del genere verrà punito», ha tuonato. Tsahal ieri ha pure arrestato in Cisgiordania l'esponente politica palestinese Khalida Jarrar insieme ad altri attivisti. Sul confine libanese un razzo anticarro è stato sparato e ha colpito in Galilea la chiesa del villaggio di Ikrit, una persona è rimasta ferita.

Sul fronte iraniano, dopo l'uccisione del dirigente dei Pasdaran Seyyed Razi Mousavi in Siria, il segretario del consiglio supremo per la Sicurezza nazionale dell'Iran, Ali Akbar Ahmadian, ha minacciato: «Con questa azione Israele ha voluto fare un passo verso l'espansione della guerra». Teheran ha dichiarato di volersi riservare la possibilità di rispondere.

Il conflitto è destinato a durare ancora a lungo e il premier Benjamin Netanyahu in un editoriale sul Wall Street Journal ha chiarito i tre prerequisiti per la pace: distruggere Hamas,

smilitarizzare Gaza e deradicalizzare l'intera società palestinese. Poi è arrivato anche il primo messaggio pubblico del leader di Hamas a Gaza Yahya Sinwar: l'organizzazione non si sottometterà mai alle «condizioni dell'occupazione».

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