Guerra sbagliata su un diritto naturale

Torna a riaccendersi la tensione sui temi del "fine vita". La questione suscita accesi scontri tra i partiti, mentre incombe l'ombra di un referendum che riaprirebbe ferite mai rimarginate

Guerra sbagliata su un diritto naturale

Torna a riaccendersi la tensione sui temi del «fine vita». La questione suscita accesi scontri tra i partiti, mentre incombe l'ombra di un referendum che riaprirebbe ferite mai rimarginate. È comprensibile che la questione susciti passione, dato che sono in gioco la vita, la libertà, la dignità e il modo in cui tutti questi valori vengono tra loro gerarchizzati. È evidente, però, come in troppi casi si voglia soprattutto cercare lo scontro, anche quando non è per nulla opportuno. Se si discute delle regole che devono guidare la società, è sempre bene partire dalla constatazione che su tante cose siamo tutti sostanzialmente d'accordo. In genere amiamo l'esistenza e crediamo nella libertà dell'altro, convinto che ognuno possa disporre di sé. Per un cristiano, l'uomo è stato creato autonomo affinché si trovi di fronte al bene e al male, facendosi carico delle conseguenze delle sue scelte.

Nel caso del suicidio assistito, allora, è ragionevole ritenere che si possa trovare un consenso su alcune questioni elementari. È infatti sensato vedere nel suicidio un fallimento, ma al tempo stesso riconoscere che - sul piano dei principi, ma anche dell'effettività - non avrebbe senso una norma che proibisse di togliersi la vita.

Se il suicidio non può essere abrogato per legge (e anche il nostro ordinamento si limita a condannare il «tentato suicidio»), altra cosa è l'omicidio: l'atto compiuto da colui che sopprime qualcun altro o comunque l'aiuta a uccidersi. In termini molto pacati, cattolici e non cattolici possono allora concordare sul pericolo consistente nel valicare il confine che separa il suicidio e l'omicidio. Perché è assai rischioso accettare l'idea che qualcuno sia incaricato di «suicidare» un'altra persona.

Per giunta, quale che sia la nostra fede, convergiamo nel ritenere che l'accanimento terapeutico non sia al servizio della persona, ma contro di essa. Se soltanto si riuscisse a evitare la speculazione di quanti alzano le bandiere del cristianesimo e dell'anticlericalismo, sarebbe più semplice costruire un consenso intorno a regole condivise.

Bisogna infatti ricordare come San Tommaso d'Aquino ritenesse che il diritto poggia sulla realtà: su un diritto naturale che

possono comprendere i credenti come i pagani. Riscoprire tale consapevolezza, aiuterebbe a uscire da questa perenne guerra civile intorno a temi difficili, sui quali è necessario il pieno rispetto di ogni punto di vista.

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